Furono gli ebrei i primi a cogliere la bontà di questa solanacea, tanto disprezzata dal resto della popolazione quanto destinata a diventare l’ingrediente principe della cucina siciliana. Una storia e due ricette
Ci sono voluti gli ebrei perché alimenti poveri e vilipesi come le melanzane diventassero fondamentali nella cucina tradizionale italiana. Citando una fonte autorevole, il gastronomo Pellegrino Artusi nella sua imprescindibile opera La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene scriveva nel 1891 che le melanzane, all’epoca chiamate petonciani, “quarant’anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani”.
Preso atto delle posizioni dello studioso, possiamo affrontare nel dettaglio la storia di questo ortaggio e le sue alterne vicende. A cominciare dall’aura sulfurea che inizialmente lo circonda. Il nome melanzana deriva infatti dal nome latino Solanum Melongena, la cui seconda parte è stata malamente collegata ai termini “mela insana”, anche tenendo conto della precedente definizione botanica, Solanum Insanum. Non esattamente di buon auspicio.
Giunta in Europa dal Medio Oriente, dall’Asia meridionale e dall’India, c’è chi dice nel XIV secolo per mano degli arabi, secondo altre fonti nel X, durante la dominazione islamica, sulla scia migratoria degli ebrei dal Maghreb, questa bacca era dunque considerata velenosa. Il motivo, probabilmente, era legato al suo gusto amarognolo, ma soprattutto al suo consumo errato. Se le venivano attribuiti poteri misteriosi e malefici, tra cui persino la capacità di portare alla follia e alla morte, la colpa era in realtà della solanina, sostanza tossica presente in misura minima qui come in tutte le solanacee, dalla patata ai peperoni e i pomodori (all’epoca però ancora sconosciuti). E se la povera melanzana era considerata “insana”, il dubbio legittimo è che se ne consumassero pure le foglie, quelle sì dall’alta concentrazione di sostanze tossiche.
In Sicilia, comunque, certe diffidenze non devono avere scoraggiato i cuochi dell’allora popolosissima comunità ebraica. Arrivati nell’Italia meridionale fin dal periodo della Roma Repubblicana, gli ebrei avevano intensificato la loro presenza dal 70 d.C., a seguito della distruzione del Tempio di Gerusalemme. Molti erano sbarcati sulle coste siciliane in condizioni di prigionia, altri di schiavitù, anche se non mancavano quanti vi erano arrivati da persone libere, dopo una iniziale tappa in Egitto. Nei secoli la presenza ebraica era diventata così imponente che intorno al 1492 (anno dell’Editto dell’Alhambra di Ferdinando il Cattolico che ne segna l’espulsione) su una popolazione totale dell’Isola di circa 600-700mila persone, il numero degli ebrei variava dalle 35 alle 50mila unità.
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Nei lunghi secoli di convivenza tra la popolazione cristiana, musulmana ed ebraica, gli scambi erano stati intensi e proficui, mettendo in campo bisogni simili e interessi diversi. Anche in campo gastronomico. Se infatti comune a tutti era l’esigenza di nutrirsi, le diverse religioni si differenziavano per i precetti da rispettare. Gli ebrei si trovavano a dover coniugare, secondo alcuni studiosi con una certa elasticità, i dettami religiosi con la vita quotidiana e i prodotti della terra siciliana. Tra questi, a un certo punto sarebbero arrivate, come si è visto, anche le melanzane. È presumibile che già prima dell’anno Mille la storia di queste bacche incroci quella della Comunità siciliana. E mentre i consumatori locali le guardano con sospetto, gli ebrei ne individuano (o ne riscoprono) un potenziale alimentare preziosissimo, lo stesso che le avrebbe rese, nei secoli successivi, le regine della cucina siciliana. Grosse e carnose, erano l’ideale, allora come ora, per essere arrostite, fritte o grigliate. Una vera manna per portare in tavola pietanze kasher facilmente riproducibili con quanto l’Isola elargiva generosamente.
Tra le esigenze più evidenti, c’era infatti anche quella di realizzare pietanze con una buona conservabilità, da cucinare prima di Shabbat, tanto che il piatto oggi conosciuto come caponata (in Sicilia capunata o capunatina) pare sia nato proprio per soddisfare questo bisogno. A base di ortaggi fritti e stufati con aceto e zucchero e poi arricchiti da frutta secca come uvetta e pinoli (elemento in comune con la tradizione araba), questa delizia si distingue per la ricchezza di ingredienti e sapori, ma anche per la particolarità di essere consumata fredda, ottima quindi nel giorno successivo alla preparazione.
Molte le versioni possibili, solo in Sicilia ce ne sarebbero almeno una trentina, con o senza uvette, patate, peperoni, olive, capperi e frutta secca. Per fare qualche esempio, la versione agrigentina unisce alla base di melanzane, pomodori, cipolle, sedano, olive e capperi anche peperoni, peperoncino, uvetta e pinoli (o mandorle). La variante trapanese, invece, prevede le mandorle tostate, mentre la catanese aggiunge peperoni di vari colori e, a volte, patate. La scuola messinese e la palermitana sono simili, ma si differenziano per l’impiego del pomodoro, pelato nella prima, passato o concentrato nella seconda, che in alcune ricette si mescola alla cannella e ai chiodi di garofano.
Passando all’Italia continentale, e in particolare a Roma, si ritrova quella che ancora oggi è definita la caponata “alla giudia”. Più semplice rispetto alle versioni siciliane, non menziona la frutta secca, ma in compenso capita che sia arricchita dalle uova sode. Comune a tutte le preparazioni, l’aggiunta di una quantità variabile di aceto di vino a metà cottura, quando le melanzane fritte vengono unite agli altri ortaggi stufati, e di una spolverizzata di zucchero. L’ideale, come si è detto, per conservare la pietanza e insieme caratterizzarne il gusto.
Capunatina di melanzane (versione tipica siciliana)
Ingredienti per 4 persone:
600 g di melanzane
200 g di pomodori da sugo
50 g di olive verdi salate denocciolate
una cucchiaiata di capperi sott’aceto
una cucchiaiata di pinoli
una cucchiaiata di uvetta
un mazzetto di basilico
una cipolla
un sedano bianco
zucchero
aceto di viso rosso
olio extravergine d’oliva
sale
pepe
Procedimento:
Ammollare l’uvetta in acqua tiepida per circa un quarto d’ora. Nel frattempo, spuntare le melanzane, tagliarle a dadini e disporle in uno scolapasta. Cospargerle di sale e lasciarle spurgare per almeno un’ora dall’acqua amara di vegetazione.
Sciacquare quindi le melanzane, asciugarle e friggerle in abbondante olio caldo, poi scolarle su carta da cucina e tenerle da parte, conservando l’olio di cottura.
Pulire il sedano, staccarne le coste più sottili e tenere, poi privarlo dei filamenti e tagliarlo e tocchetti. Friggerlo quindi nello stesso olio usato per le melanzane, poi scolarlo e unirlo alle melanzane.
Sbucciare la cipolla e affettarla finemente, tagliare i pomodori (eventualmente sbucciati) a tocchetti e tritare (o spezzettare) abbondante basilico, poi soffriggere il tutto velocemente nella stessa padella usata per gli altri ortaggi, lasciandovi una parte dell’olio già usato.
Aggiungere una cucchiaiata abbondante di zucchero, mezzo bicchiere di aceto, i capperi, i pinoli, l’uvetta ammollata ben strizzata, le olive, le melanzane e il sedano. Regolare di sale e pepe, portare a leggera ebollizione e cuocere per 10 minuti.
Trasferire su un piatto di portata e lasciare raffreddare prima di servire.
Caponata alla Giudia (versione ebraico-romanesca)
Ingredienti per 6 persone:
6 melanzane (lunghe nere)
1 kg di pomodori maturi (perini)
2 coste di sedano
2 carote
una grossa cipolla
un mazzetto di basilico
50 g di capperi sotto sale
100 g di olive verdi denocciolate
2 uova sode
zucchero
aceto di vino bianco
olio extravergine d’oliva
sale
pepe
farina e pangrattato (facoltativi)
Procedimento:
Ammollare i capperi in acqua fresca per dissalarli. Spuntare le melanzane, tagliarle a dadini e disporle in uno scolapasta. Cospargerle di sale e lasciarle spurgare per almeno un’ora dall’acqua amara di vegetazione. Sciacquare quindi le melanzane, asciugarle e friggerle in abbondante olio caldo (eventualmente dopo averle infarinate), poi scolarle su carta da cucina e tenerle da parte.
Sbollentare i pomodori, sbucciarli e tagliarli a tocchetti eliminando i semi. Pulire le coste di sedano, le carote e la cipolla, poi tritarli insieme e rosolarli nell’olio caldo con abbondante basilico, poi unire i pomodori con i capperi scolati e le olive e lasciare insaporire per qualche istante a fiamma vivace.
Aggiungere 1-2 cucchiai di aceto, uno di zucchero, sale e pepe in abbondanza, poi cuocere mescolando per qualche minuto fino a ottenere una salsa piuttosto densa. Unirvi quindi le melanzane e cuocere ancora, per un tempo complessivo di circa 10 minuti.
Cospargere con altre foglie di basilico e servire con le uova sode tagliate a spicchi, completando a piacere con pangrattato e capperi.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.
Complimenti bel lavoro di antropologia culturale e bella in particolare l’inserire la centralità del cibo nei processi non solo materiali ma spirituali dell’uomo.
Mi piacciono molto le melanzane. Con le” perline ” preparo un buon condimento x la pasta, ma essendo veneta, non conoscevo le interessanti ricette proposti dalla signora. Ne faccio tesoro, ringraziando anche x la spiegazione sull’ uso della melanzana e sulla sua storia nell’ antichità .Molto bello e molte grazie!