Storia e preparazione di un dolce di mandorle dalla tradizione antica
L’associazione tra Purim e Hamantaschen sarà anche immediata, ma non è esclusiva. Di certo non lo è alle nostre latitudini, dove per quanto la tradizione ashkenazita dei biscotti triangolari ripieni sia riconosciuta, la festa del 14 di Adar può essere legata anche a diverse altre preparazioni. Limitandosi a quelle dolci, vi è un universo di delizie zuccherine che la tradizione ebraica abbina alla celebrazione delle gesta di Ester.
Sarebbe proprio in onore alla regina segretamente ebrea che salvò il suo popolo dal tentato annientamento per mano del perfido ministro Aman che in questo periodo si privilegiano le preparazioni, diciamo così, a sorpresa. Con un ripieno nascosto dietro a un impasto così come la moglie del re persiano Assuero e in generale i suoi correligionari nella storia hanno dovuto celarsi agli occhi dei persecutori. Alzando ulteriormente l’asticella, il nascondimento sarebbe riferito addirittura alla divinità che, caso più unico che raro, non compare esplicitamente in nessun passo del Libro. E a proposito di testi sacri, un altro riferimento alto per alcuni dolci sarebbe anche quello del rotolo, con preparazioni sempre ripiene ma questa volta arrotolate come una pergamena sacra.
C’è poi un altro filone dolciario piuttosto in voga, nelle feste ebraiche in genere e a Purim in particolare. Si tratta dei pasticcini a base di mandorle. Sarebbe troppo lungo riprendere qui la complessa storia di questo prodotto, tanto diffuso nel Mediterraneo quanto amato nelle cucine dei suoi popoli. Basti ricordare che già i Greci erano soliti mescolare la frutta secca tritata con il miele, dolcificante che sarà sostituito dallo zucchero a partire dal VI secolo, da quando cioè i Persiani lo importarono dall’India. L’accoppiata mandorle-zucchero, eventualmente arricchita da acqua di rose o di fiori d’arancio e più avanti da uova, porterà un po’ ovunque alla composizione di una miriade di preparazioni ancora oggi patrimonio delle culture gastronomiche anche più lontane.
Quello che qui conta ricordare, però, è che l’impiego di un impasto semplicissimo, a base di sole mandorle tritate e zucchero, arrivò nella Spagna moresca nel Medioevo e che il marzapane era considerato appannaggio della comunità ebraica al momento della sua espulsione a fine Quattrocento. Va detto che almeno agli albori la specialità dei Sefarditi era riconducibile più alla pasta di mandorle, non cotta e destinata a finire nei ripieni, che al marzapane propriamente detto, preparato cuocendo insieme la frutta secca polverizzata con uno sciroppo di zucchero.
Questa distinzione continuerà a segnare i prodotti di pasticceria dei secoli successivi fino ai giorni nostri, seguendo percorsi non sempre facili da ricostruire. Limitandosi all’Italia, si spiega così la diffusione di dolcetti simili lungo un po’ tutta la Penisola e la compresenza di entrambi i metodi di preparazione. Concentrando l’attenzione su Purim e sui suoi prodotti, è curioso come ancora oggi non vi sia una versione unica di un dolcetto tipico di questa festa preparato nella città di Trieste. Parliamo dei montini, che la comunità locale realizza in questi giorni in gran quantità, consumandola a casa così come facendone dono alle persone care. E rispettando così una delle quattro mitzvot di Purim, quella appunto di condividere le bontà con le persone più vicine, il mishloach manot.
Dal nome e la forma che sono tutto un programma (e che secondo alcuni si riferirebbero al monte Sinai collegandoli così anche a Shavuot), queste delizie dalla forma appuntita possono ricordare in alcuni casi degli amaretti morbidi e in altri apparire invece come dei pasticcini di marzapane un po’ rustico, spesso colorati di rosa o marrone. Nel primo caso contengono dell’uovo (o solo l’albume) e sono cotti al forno, nel secondo sono realizzati con le sole mandorle impastate sul fuoco con lo sciroppo di zucchero, con l’unica eventuale aggiunta di colorante rosso o di cacao, e non prevedono cottura ulteriore. Secondo i puristi sarebbe questa la sola e vera versione originale, mentre quella al forno sarebbe più vicina ai mustaccioni, altra preparazione tipica della comunità triestina e preparata sempre in occasione di Purim.
Quando e come si sia iniziato a preparare i montini a Trieste non si sa per certo, ma vista la loro composizione è facile collegarli alla componente sefardita di questa importante comunità. Presenti fin dall’epoca medievale, gli ebrei triestini avevano raggiunto nel 1938 il ragguardevole numero di seimila persone, con un boom di presenze e di importanza nella vita cittadina esploso già nel secolo precedente. Inizialmente commercianti e prestatori provenienti dalle regioni del Nord, gli ebrei di Trieste non erano sfuggiti neppure qui alle persecuzioni e alla reclusione in un ghetto tra il Cinque e Seicento. L’istituzione del porto franco nel 1719 e la concessione da parte degli Asburgo di nuove libertà religiose ne aveva poi incrementato presenze e importanza con l’aumento dei commerci. Nel 1746 erano giunti alla formalizzazione di una comunità e con questa alla costruzione della prima sinagoga di rito tedesco, la Scola Piccola. Nello stesso periodo, agli ebrei ashkenaziti si erano uniti i sefarditi provenienti da Venezia, da Ancona e dal Vicino Oriente. Ed è per rispondere a questa nuova comunità che dopo l’abolizione del ghetto nel 1785 era nata anche una Scola Spagnola, che si affiancava a quelle di rito tedesco, e alla successiva Vivante, fondata del 1790.
Gli influssi spagnoli non sarebbero comunque mai mancati in questa città dallo spirito cosmopolita, e le tradizioni gastronomiche lo testimoniano. L’impiego del marzapane sarebbe quasi certamente riconducibile ai Sefarditi, così com’è probabile che sia proprio passando da qui che l’uso delle mandorle impastate con lo zucchero sia poi a sua volta emigrato nei paesi del Nord, diventando parte anche della tradizione ashkenazita. Anche limitandosi all’influenza locale, gli ebrei sarebbero stati fondamentali per la stessa tradizione triestina. Considerando ad esempio un prodotto agroalimentare tradizionale come le fave di Trieste, si vede come il suo stesso disciplinare ne riconosca in una nota la plausibile ascendenza ebraica.
Nel testo ufficiale che regolamenta la produzione di questi dolcetti tipici si ricorda quanto l’impiego in pasticceria delle mandorle, diffuso storicamente nel Mediterraneo, sia stato probabilmente introdotto nelle abitudini triestine dalle popolazioni ebraiche. Citando un testo di riferimento come La cucina nella tradizione ebraica di Giuliana Ascoli Vitali Norsa, il documento ne riporta le indicazioni per preparare la pasta di mandorle e realizzare di conseguenza sia i montini (anche nella versione “bassa”), sia i mostacchioni.
Come si sia arrivati a trasformare un dolce di Purim in uno dedicato alla celebrazione cristiana della giornata dei morti non è dato sapere, ma salta senz’altro all’occhio, oltre all’impiego della pasta di mandorle (che nel caso delle fave viene cotta e trasforma i dolcetti in piccoli amaretti), anche la colorazione. Fave e favette condividono con i montini l’impiego del colorante rosso e del cacao, che regalano ai pasticcini una nota gioiosa. Un dettaglio non troppo sorprendente vista l’occasione di festa e allegria in cui vengono preparati, regalati e consumati i montini, più curiosa nel frangente più malinconico delle favette del primo novembre.
Montini di Purim
Ingredienti:
500 g di zucchero
500 g di mandorle pelate
maraschino o altro liquore
cacao in polvere
coloranti alimentari
zucchero semolato
essenza di vaniglia
Macinare finemente le mandorle e lasciarle asciugare stese su un vassoio. Porre in un tegame lo zucchero con un bicchiere d’acqua e cuocere fino a quando lo sciroppo inizia a filare. Aggiungere le mandorle, mescolare per 5 minuti a fiamma bassa, poi togliere dal fuoco, lavorare ancora il composto fino a quando si intiepidisce e lasciarlo raffreddare.
Unire qualche goccia di liquore a piacere e, se gradita, una punta di essenza di vaniglia. Dividere l’impasto in tre porzioni uguali, in uno aggiungere qualche cucchiaino di cacao, in un altro qualche goccia di colorante rosso e l’ultimo lasciarlo bianco. Impastare i composti colorati fino a ottenere una tinta uniforme
Prelevare l’impasto in piccole quantità, formare dei piccoli cilindri e riunirne tre di colore diverso modellandoli poi a cono. Passare i conetti nello zucchero semolato e sistemarli negli appositi pirottini di carta prima di servirli o di confezionarli nei pacchetti da offrire in dono.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.