Storia e storie dal triste epilogo di un piccolo cimitero ebraico nella provincia di Piacenza
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la storia, purtroppo triste, sul cimitero ebraico di Monticelli d’Ongina, un piccolo comune nella provincia di Piacenza. Scritta in forma di lettera da Bruno Segre in occasione della perdita della moglie, è indirizzata a Rav David E. Sciunnach (assistente del Rabbino capo di Milano e Rabbino di riferimento della Comunità ebraica di Parma) e a Riccardo Joshua Moretti (vicepresidente delle Comunità ebraiche di Parma e Soragna) per illustrare loro le vicende di famiglia e di quel piccolo cimitero da loro curato e manutenuto nel tempo. La sua è una famiglia allargata, come scrive Segre stesso, “composta da un amplissimo ventaglio di ‘marrani’, che nelle modalità più varie hanno continuato e continuano a tenere in vita brandelli significativi di memoria ebraica, facendo riferimento con amore a un retaggio al quale non sono disposti a rinunciare”. I famigliari cattolici e non ebrei sono da sempre sepolti accanto ai loro congiunti ebrei in quel cimitero ebraico, ma purtroppo la stessa sorte non toccherà a lui, che si è visto negare la possibilità di seppellire la moglie Matilde, non ebrea, nella tomba di famiglia. Questioni legali e halakhiche, certo. Ma vale la pena di riflettere su un tema che coinvolge e riguarda la vita stessa delle comunità. Ecco perché proponiamo integralmente la lettera di Segre, nella speranza di poter dare voce anche alla risposta o al commento dei destinatari, al momento silenti, nonostante il nostro invito a scriverci.
Gentile Rav David E. Sciunnach e Gentile Signor Riccardo Joshua Moretti,
il dover rispondere ai vostri cortesi messaggi del 20 dicembre scorso mi
offre l’occasione per fornirvi alcune informazioni circa il cimitero
ebraico di Monticelli d’Ongina, circa la sua storia recente e meno recente
e circa il mio personale legame con tale cimitero.
La mia nonna paterna, Sara Osimo, era nata e cresciuta a Monticelli d’Ongina.
Nell’anno in cui nacque nonna Sara (1858), a Monticelli vivevano più
di cento ebrei, c’era il rabbino e c’era la sinagoga (il minuscolo
aron kodesh della nostra sinagoga si trova ora ben esposto nel museo ebraico
Fausto Levi di Soragna). Il nutrito nucleo di fratelli e sorelle di nonna
Sara, e dei loro ancor più numerosi discendenti, andò via via spargendosi
in varie regioni e città, dentro e fuori l’Italia, e la comunità ebraica
monticellese, composta nell’800 da tre o quattro grandi famiglie variamente
imparentate fra loro, andò in loco rapidamente esaurendosi. La gestione
amministrativa di ciò che nel villaggio rimase di ebraico (in particolare,
del cimitero) venne a un certo punto assunta, per competenza territoriale,
dalla comunità ebraica di Parma.
Da qualche decennio, peraltro, di ebraico, a Monticelli, c’è soltanto il
nostro cimitero.
Va tuttavia fatto anche rilevare che nell’epoca dell’apertura dei ghetti e
della conseguente emancipazione politica e socio-culturale degli ebrei
d’Europa, coincisa in Italia con il novantennio 1848-1938, il processo
d’integrazione degli ebrei nella più ampia società nazionale fu molto
rapido. In tale contesto fu particolarmente notevole, soprattutto fra gli
ebrei dell’Italia del nord, la tendenza ad abbandonare, assieme a molte
delle pratiche del culto, anche la tradizionale endogamia: all’interno
della nostra famiglia allargata, per esempio, i matrimoni misti furono
frequentissimi.
L’ultimo ebreo vivente e operante a Monticelli, Ugo Soavi (un primo cugino
di mio padre Emanuele Segre, nel senso che le due madri Osimo erano
sorelle), sposò negli anni Venti Maria Curtarelli, una ragazza cattolica
che purtroppo morì giovanissima nel 1933. All’epoca, il nostro cimitero
era con ogni evidenza sotto la giurisdizione della comunità di Parma.
Ebbene, Maria Curtarelli, moglie di Ugo e madre delle sue tre figlie ─ la
cui tomba venne ammessa nel nostro cimitero senza particolari problemi,
cioè con il beneplacito della rabbanut parmense ─ fu il primo caso di una
lunga serie di coniugi non ebrei, uomini e donne della nostra famiglia
allargata, le cui tombe sono andate moltiplicandosi nel nostro cimitero con
la sostanziale funzione di consentire ai resti mortali ivi inumati di stare
accanto a quelli dei loro coniugi ebrei.
Ma prima ancora della salma di Maria Curtarelli, nel cimitero ebraico di
Monticelli vennero introdotti, sempre con il nullaosta del rabbino di
Parma, i resti mortali di un altro ospite non proprio kasher: sto parlando
di mio nonno Gabriel Segre, ebreo di Torino, il marito di nonna Sara,
defunto negli anni Venti poco prima che io nascessi (nel 1930). Ebbene,
come si evince dal testo inciso sulla lapide, la tomba di Gabriel ricopre
niente meno che le sue ceneri: il mio nonno, in poche parole, da tipico
libero pensatore, probabilmente massone, si fece cremare, e il rabbino di
Parma dell’epoca, negli anni Venti del secolo scorso, non ritenne di
sollevare obiezioni.
A mia memoria, dopo la Shoah e lungo tutti i decenni del dopoguerra, la
comunità ebraica di Parma non sembrò dimostrare nei confronti del cimitero
monticellese alcun effettivo interesse. La proprietà del terreno era ed è
del Comune di Monticelli, ma la continuativa pluridecennale manutenzione
del cimitero stesso è stato una prerogativa di cui si è assunto l’onere
esclusivo la nostra famiglia allargata, e segnatamente quel ramo di essa
rappresentato dai/dalle discendenti di Ugo Soavi, che con Monticelli
d’Ongina hanno mantenuto più a lungo un legame diretto e significativo.
In buona sostanza, per poco meno di due secoli il cimitero ebraico di
Monticelli ha funzionato quale grande ‘tomba di famiglia’: di una famiglia
allargata composta da un amplissimo ventaglio di ‘marrani’, che nelle
modalità più varie hanno continuato e continuano a tenere in vita
brandelli significativi di memoria ebraica, facendo riferimento con amore,
l’dor v’dor, di generazione in generazione, a un retaggio al quale non
sono disposti a rinunciare.
Sia chiaro perciò che a Monticelli il cimitero ebraico continua a
esistere perché noi ─ i ‘marrani’ del cimitero ─ abbiamo continuato e
continuiamo a farlo vivere: noi e non già la comunità ebraica di Parma.
Per quanto attiene al mio caso personale, da bambino i miei genitori non mi
impartirono alcun tipo di educazione religiosa. Nell’iscrivermi (eravamo
nell’Italia fascista) a una scuola pubblica di Milano, l’unica cosa che i
miei genitori chiesero alla scuola fu che, quando la maestra faceva lezioni
di catechismo (cattolico), io fossi messo fuori dell’aula. Evidentemente
non volevano che io venissi in alcun modo catechizzato: volevano, molto
laicamente, che mi fosse lasciata la libertà più piena di determinarmi e
di scegliere il mio orientamento spirituale quando avessi raggiunto un’età
tale da potermi orientare senza condizionamenti esterni. Questi
condizionamenti arrivarono prima del previsto nell’autunno del 1938 quando,
bandito di colpo da tutte le scuole del Regno d’Italia, compresi che ero un
italiano ebreo, membro in Italia di una minoranza perseguitata e oppressa. E
fu così che nei successivi ottant’anni mi sono ritrovato a fare i conti,
in chiave laica, con l’antisemitismo e con la mia ebraicità, un po’
attraverso lo studio e molto attraverso la vita. L’dor v’dor, senza alcuna
forzatura m’è accaduto di trasmettere ebraicità (quella mia, laica per
l’appunto) prima ai figli e poi ai nipoti, ciascuno dei quali si
identifica ora in qualche modo come ebreo/a pur non avendo ricevuto, in
famiglia, alcuna educazione religiosa.
Nell’agosto di quest’anno ho compiuto 88 anni, e nel successivo ottobre è
caduto il sessantesimo anniversario del mio matrimonio con Matilde (che di
anni ne aveva soltanto 82). Pensavo e speravo di morire prima di lei,
essendo più anziano di sei anni, ma le cose sono andate diversamente. E
poiché mi consideravo legittimamente candidato a essere sepolto nel nostro
cimitero accanto ai sepolcri di almeno tre generazioni di miei avi, in virtù
di tale convinzione intendevo nei giorni scorsi farmi precedere in
quell’amatissimo pezzo di terra dalla mia sessantennale compagna goyah,
defunta prima di me. Ma ora entrambi voi mi fate sapere che ciò non sarà
possibile: e la Legge 8 marzo 1989, n.101, alla quale vi appellate, vi dà
ragione conferendovi un potere di veto che non contesterò, dato che non
voglio per nessun motivo violare una legge della Repubblica italiana, per
iniqua e fascistica che mi possa apparire. Constato che siete in una botte
di ferro, e per parte mia desidero sgombrare subito dal campo il problema
mio e di mia moglie. I resti mortali di Matilde e quelli miei riposeranno
gli uni accanto agli altri in una località diversa: amiamo il nostro
piccolo cimitero di famiglia, ma siamo sufficientemente laici ed ebrei per
non coltivare idolatrie nei confronti di questo o quel luogo.
Desidero concludere il presente mio messaggio assicurandovi che guardo con
il più profondo rispetto alla religiosità degli ebrei ortodossi, così
come alla religiosità dei religiosi di qualsiasi altra religione. Ma
proprio perché mi professo ebreo e laico non sono disposto ad accettare che
vengano imposti a me, o ad altre persone che mi sono care, orientamenti,
comportamenti o scelte ispirate ad astratti princìpi o dogmi. Nella mia
lunga esistenza ho cercato di dare corpo e chiarezza a una definizione di
laicità compatibile con la cultura degli ebrei. Secondo me, la laicità va
letta anche in ambito ebraico come una scelta di metodo in virtù della
quale la variegata pluralità di espressioni culturali e religiose che il
mondo ebraico è andato storicamente producendo venga accolta positivamente:
la pluralità, insomma, non come un aspetto ‘autodistruttivo’, non come
minaccia a un’inossidabile e immutabile tradizione, ma come una ricchezza
foriera di ulteriori arricchimenti.
Permettetemi infine di mettervi in guardia dai pericoli impliciti nel
paradigma gestionale da voi proposto per il cimitero ebraico di Monticelli.
A ben pensarci, un’applicazione rigorosa di tale paradigma richiederebbe
l’espianto di varie decine di tombe non kasher. Ma lasciando da parte una
simile assurdità, vorrei che vi rendeste conto che d’ora in poi nel nostro
cimitero ben difficilmente potrebbero esservi in futuro delle ‘new
entries’. Ritrovo anche qui, insomma, una perniciosa tendenza che sta ora
prevalendo minacciosa nel piccolo mondo ebraico italiano: la tendenza a
escludere, a selezionare, a individuare con scrupolo ciò che è ‘puro’
separandolo da ciò che puro non è, con l’inevitabile ma prevedibile
scomparsa, fra alcuni decenni, di qualsiasi traccia di vita ebraica in
Italia.
Vi saluto entrambi con un cordiale Shalom.
Bruno Segre
Un’infinita tristezza!
Da molto tempo sono amica di Bruno Segre, molto amica e ammiratrice, nonostante ciò non ho il suo indirizzo né la sua email. Approfitto allora di questo spazio per inviargli l’espressione del mio dolore per la perdita della moglie e il mio abbraccio commosso. Spero di vederlo presto, magari a Camaldoli per il prossimo Colloquio! So che la sua passione laica per i problemi ebraici lo sosterrà ancora molti anni e non ci priverà dei suoi bellissimi scritti e insegnamenti. GIOVANNA
Ho letto con molto interesse la lettera di Bruno SEGRE che apre un capitolo molto più ampio dell’ebraismo italiano che va oltre la problematica delle sepolture .
Fino agli anni 90 il rabbinato Italiano aveva politiche di apertura verso i matrimoni ,misti permettendo a molti figli di diventare ebrei, e molte volte buoni ebrei, anche alcuni rabbini sono figli di matrimoni misti.
In Italia l’ebraismo ufficiale è solo ortodosso lasciando lo spazio per la nascita dell’ebraismo riformato non solo,anche i Lubavich accolgono con più facilità le famiglie miste.
Il rabbinato italiano ha isolato quei rabbini coraggiosi che hanno dimostrato apertura verso le conversioni, così le comunità sono in mano ad un manipolo di intransigenti che escludono gli altri ,richiudendosi in un circolo chiuso senza possibilità ,sia di rigenerazione ,sia sopratutto di sopravvivenza.
Nasceranno cimiteri laici per l’eterno riposo delle coppie miste ma continuando così degli ebrei Italiani rimarrà solo la memoria. Diventa necessario spostare lo sguardo dal passato e volgere verso il futuro che non può essere solo di pochi ma “buoni”.
Grazie Bruno SEGRE ,che non ho mai avuto il piacere di conoscere ,per avere aperto il dibattito.
Un cordiale shalom
Vittorio Ravà
Non conosco Bruno Segre ne alcun membro della sua meravigliosa famiglia allargata
ma ritengo che abbia ragione di poter seppellire la moglie nel cimitero di Monticelli che
quasi appartiene alla loro famiglia . Spero proprio che possa farlo. cordialmente
Con solidarietà ideale e di affetto con Bruno Segre, esponente di un ebraismo profondo e impegnato, condivido quanto scrive. Penso che l’intransigenza confessionale e conservatrice, crescente nel rabbinato italiano, vada scavando un solco negativo tra esso e troppa parte della realtà ebraica effettiva, passata, presente e futura. Con limpidezza, Bruno Segre riapre una controversia non esaurita, in cui mi schiero dalla sua parte.
Caro Bruno, mi spiace moltissimo per la perdita di tua moglie.
Leggo con tristezza tutto cio che scrivi e condivido parola per parola. Sono molto preoccupata per la piega che sta prendendo l’ebraismo italiano e le conseguenze che ne potranno derivare. Teniamo duro e cerchiamo di fare sentire la nostra voce ogni volta che sara necessario e giusto farlo. Un grande abbraccio
Gentile Signor Bruno Segre, Lei non si ricorderà di me, ma per molti anni abbiamo frequentato il colloquio ebraico-cristiano di Camaldoli, e abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola pensiero in amicizia.
Partecipo al Suo dolore per la morte della Sua cara moglie e spero vivamente che il rabbinato italiano ritorni indietro sulla decisione di non dare sepoltura ai coniugi e ad altri familiari di ebrei nel cimitero di Monticelli.
Ritengo che il fondamentalismo non abbia mai contribuito alla crescita di una comunità.
La abbraccio con grande rispetto.
Bruno Segre lo sa : sono completamente d’accordo con lui.
Non capisco perchè non dichiarano il cimitero come “non ebraico” e risolvono il problema. Per stessa ammissione dell’autore del pezzo, la maggior parte sono sui parenti e sono non ebrei. Per quanto si vagheggi di “tradizione ebraica”, in pratica non è rimasto nulla. Allora di cosa stiamo parlando?
PS: almeno per rispetto di persone che hanno sofferto. I marrani erano ebrei convertiti a forza che di nascosto, con grande pericolo, mantenevano la propria identità. Nella lettera mi sembra che ci sia di tutto, ma di certo non ci sono marrani.
Dimenticavo…
Non vi sembra che la parabola della famiglia dell’autore sia la dimostrazione che fuori dalla ortodossia l’ebraismo finisce?
gentile Sig. Segre
non ho il piacere di conoscerla, ma le esprimo la mia più totale condivisione.
Sono figlia di matrimonio misto, sono laica e vorro’ essere sepolta con mio marito, agnostico.
Concordo con Stefano Levi Della Torre che la chiusura del rabbinato è deleteria per la Comunità.
Condoglianze sentite per la sua perdita e buona vita a lei.
Daniela Servi
Un abbraccio grande grande a Bruno da Paola s da me.
Quanta tristezza i talebani nostrani!
Ho avuto il privilegio di lavorare con Bruno per molti anni proprio nell’ambito della promozione del pluralismo ebraico, e anche di conoscere e apprezzare Matilde. Questa cosa mi colpisce e mi appare tristissima. La profondità dell’ebraismo di Bruno e la condivisione di Matilde vanno ben al di là degli steccati che oggi si vogliono costruire.
Se l’ebraismo ortodosso non si aprirà e rinnoverà, in Italia è destinato a sparire
Sembra anche a me che la soluzione migliore al problema sia la dichiarazione di “non ebraicità” del cimitero. Dopodiché anche io concordo rilevando che al di fuori dell’ebraismo ortodosso l’ebraismo finisce. I matrimoni misti ne segnano sempre la fine tempo una o due generazioni.
Un abbraccio da una cristiana che ama il Popolo.
Rinnovo a Bruno Segre l’amicizia e la stima, in un comunicante pluralismo ebraico, dove la sua posizione laica è nitidamente tracciata. Gli porgo affettuose condoglianze per la morte della cara moglie. Il ‘cantuccio’ di un peculiare nostro camposanto, in un angolo della diffusa Italia ebraica, poteva esser serbato in collaudata accoglienza di un duraturo amore, Bruno Di Porto
Egregio e carissimo Sig. Bruno,
ho vissuto a S. Pedretto, frazione di Monticelli e paese di origine dei genitori, dal 1964, sfollati da Torino, al 1964 “emigrato” a Roma per ragioni di lavoro. Ho visitato alcune volte il CIMITERO EBRAICO di Monticelli per ritrovare e ricordare qualche Soavi con cui la mia famiglia ha avuto contatti di vario tipo: col “droghiere” di Monticelli, come cliente; col proprietario “terriero” di S. Pedretto e figli; con Luisa , coetanea di mia sorella Jole.
Ho ancora la casa dei miei a S. Pedretto dove ritorno ogni tanto.
Mi piacerebbe continuare, in qualche modo,. questo inizio di dialogo.
Grazie e cordiali saluti.
Domenico Allegri