Cultura
Nuovo cinema ebraico e israeliano, la nuova edizione

Quattro giorni e 15 film per immergersi nella cinematografia israeliana contemporanea e in produzioni ebraiche italiane

La 14esima edizione della manifestazione milanese dedicata al cinema ebraico e israeliano prende il via il 20 novembre e per quattro giorni, quindici film selezionati dalle curatrici Nanette Hayon e Anna Saralvo andranno in scena allo spazio Meet di Milano. Un tuffo nella visione israeliana del mondo attraverso i suoi film con un occhio rivolto alle storie ebraiche italiane. Ne abbiamo parlato con Sara Ferrari, Direttrice scientifica della rassegna e collaboratrice di Joimag.

Come vengono scelti i film in cartellone?
Negli ultmi anni questa rassegna di cinema ha trovato una sua autonomia e ha scelto di raccontare Israele attraverso il suo cinema. I film vengono scelti dalle curatrici prestando grande attenzione alle rassegne soprattutto proposte dalla Cinematheque di Gerusalemme e ai festival locali. Poi c’è lo sguardo ebraico che tendenzialmente riguarda l’Italia, sicuramente quest’anno pone l’accento su storie ebraiche italiane, in passato ci sono state eccezioni, guardando alle produzioni ebraiche statunitensi.

Le tematiche di questa rassegna, la disabilità, le questioni di genere, l’immigrazione e, naturalmente le questioni famigliari, sono calde un po’ ovunque nel mondo…
Sì, sono tematiche assolutamente attuali. Beh, la famiglia è al centro della scena un po’ ovunque con le storie sui legami tra gli individui, ma c’è una certa urgenza a portare in scena le questioni più urgenti del nostro tempo. Quindi non solo i tradizionali legami famigliari, comprensivi di bugie e segreti, ma quelle che sono le necessità dell’oggi. Una sfida, che abbiamo accolto subito.

Qualche esempio attraverso i film in cartellone?
Il tema dell’immigrazione è magistralmente raccontato in Golden Voices, il film di Evgeny Ruman del 2019, che apre la rassegna (in programma sabato 20 novembre alle ore 20.30). Racconta la storia di un immigrato russo in Israele, completamente sradicato, che fatica a integrarsi, ma poi fa valere la propria capacità di trasformarsi, anche se non senza dolore. Lo fa rappresentando la tematica dell’immigrazione russa, per diventare paradigma di tutte le immigrazione. Il tema della disabilità viene narrato in Here We Are, diretto da Nir Bergman nel 2020, è una storia genitoriale di autismo, ma si occupa di un momento delicato: protagonista delle vicende è il giovane adulto autistico, non il bambino, di cui si è molto parlato sul grande schermo. Qui il ragazzo diventa adulto e lo farà con uno strappo molto forte, una volta davanti al bivio in cui deve scegliere se abbandonare la famiglia o restare sotto la sua ala protettiva. I genitori sono molto coinvolti e l’attenzione è posta su di loro perché devono superare la prova. Una situazione molto vera, non romanticizzata, senza vittimismi. Difficile, ma molto utile! (22/11 ore 21) Quanto alle questioni di genere, ne parla in maniera esemplare una pellicola di Ethan Fox (Israele-USA 2020), in cartellone per martedì 23 novembre alle 18.40, dal titolo Sublet. Qui si incontrano due generazioni di omosessuali ed è chiara la prospettiva: cambiano i tempi, certo, ma anche si invecchia… nell’unica città in cui tutto questo è possibile, Tel Aviv. Una prova attoriale incredibile è quella che ha brillantemente superato Shira Haas nel film Asia, diretto da Ruthy Pribar e vincitore di 9 premi agli Ophir 2020 (gli Oscar israeliani) e dei premi per miglior regia, miglior fotografia, miglior attrice e miglior attrice non protagonista al Tribeca Film Festival 2020 (in calendario il 23 novembre alle 21). Si parla della malattia di un figlio, tema presente in piccolo anche nel cinema italiano: c’è una nuova coscienza al riguardo. Non manca poi il tema del conflitto, dal punto di vista storico e politico. Unsettling, di Iris Zaki ( 2018) è una sorta di documentario – laboratorio sociale per conversare con i coloni israeliani. Golda (S. Bornstein, U. Nir, S. Rozanes, Israele 2019) è un bellissimo focus sul personaggio di Golda Meir (entrambi proiettati il 21 novembre, rispettivamente alle 17.50 e alle 19.25), mentre Breaking Bread (23/11, ore 15.30) parla del conflitto utilizzando il cibo come linguaggio comune. Un tema trasversale, a partire dal mondo mediorientale, ma anche peculiare: la cucina israeliana sta vivendo un momento felice sulla scena culinaria, anche all’estero, per esempio a Berlino. Ma la domanda allora è: che cos’è la cucina israeliana? Sulla storia poi c’è un documentario molto potente su Varsavia, in particolare sul quartiere Muranow, una pellicola israeliana girata da Chen Shelac nel 2020 (22/11 ore 17).

C’è una costante, un filo rosso che accomuna la cinematografia israeliana, o almeno quella proposta in questo festival?
La forza del cinema israeliano è la sua verità. Da sempre. Ha faticato a trovare un proprio peculiare linguaggio, che fosse adatto a raccontare quello Stato, ma gli ultimi vent’anni, età dell’oro della cinematografia israeliana,  hanno prodotto pellicole eccellenti proprio perché vere. La cifra è questa, raccontare la realtà senza filtri, senza edulcoranti. E se ci sono verità difficili da dire, per il pubblico specchiarsi in quelle verità è molto importante: è specchiarsi nella vita.

Più difficile mi sembra trovare una cifra comune nel cinema ebraico: quanto il paese in cui vive il regista influenza la sua visione e produzione?
Certamente ogni luogo porta con sè stili di vita e visioni del mondo differenti, quindi è più difficile identificare uno sguardo unitario. Ma c’è un guardare che ha a che fare con uno humor sottile che si ritrova nel cinema ebraico mericano, come in quello francese o tedesco.

Infine l’Italia, quest’anno in rassegna arriva un progetto sulla memoria, molto importante.
Si tratta del progetto Mi ricordo che vede il Cdec protagonista insieme a CSC (Archivio Nazionale Cinema Impresa) nel racconto della storia attraverso i film di famiglia nelle comunità ebraiche italiane, che culmina con un montaggio di home video di Vittorio Ovazza, girati nei primi anni 30. Come dicevo, storie ebraiche nella storia dell’Italia, in cartellone il 22 alle ore 19.

Il calendario di quest’anno vede la presenza di un ospite speciale, Etgar Keret, questa volta con un cortometraggio che ci parla di quanto abbiamo vissuto nel lockdown.
Keret parte dal lockdown e rivogle il suo sguardo su quello che stiamo vivendo tuttora. Da scrittore, si pone la domanda su quale possa essere il proprio ruolo nella pandemia e in questo cortometraggio cerca di fornire la sua personale risposta. Cioè attraverso l’immaginario, l’assurdo, a partire dal racconto Outside, in cui le persone, finiti il lockdown e il cprifuoco, si rifiutano di uscire di casa… Storie vere, anche qui: il primo giorno di libertà, in cui siamo usciti di casa dopo quel periodo, credo resterà nella nostra memoria per sempre! La cifra poi è il linguaggio perché a raccontare questa tematica universale è la danza, grazie alla collaborazione con la coreografa Inbal Pinto. Da vedere! (21/11 alle 16.30, preceduto da un’intervista di Keret con Sara Ferrari).

Il programma completo lo trovate qui. Cineteca Milano Meet, Viale Vittorio Veneto, 2.

La rassegna Nuovo Cinema Ebraico Israeliano è promossa dalla Fondazione CDEC in collaborazione con Cineteca Milano MEET e grazie a una nuova partnership con l’Associazione JOI – Jewish Open and Inclusive.

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


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