Preparato con pochissimi ingredienti, in pratica solo uova, farina e zucchero, il pan d’Espanya sarebbe una delle ricchezze immateriali che gli ebrei sefarditi avrebbero portato con sé nei Paesi in cui si erano stabiliti
Mai fidarsi dei nomi. O almeno, meglio non sperare che i nomi ci dicano tutto. Possono essere un buon inizio, però.
Nel caso del pan di Spagna, quel dolce leggero come un soffio, la questione parrebbe risolta fin dalle prime battute. Una torta nata nella penisola iberica che si è poi diffusa un po’ in tutto il mondo, affermandosi come base per i dessert più raffinati delle tradizioni pasticciere più blasonate. Sul luogo di origine, a dar retta al nome, non ci sarebbero dubbi. Invece, una versione diversa dei fatti ne parla come di una sorta di nickname, una specie di copertura per una preparazione presentata alla corte di Spagna a metà del XVIII secolo, esattamente nel 1749, ma in uso a Genova da secoli.
Per la sua introduzione in terra straniera, nonché per il suo rientro in patria in forma riveduta e corretta, pare si debba ringraziare l’ambasciatore Domenico Pallavicini che, spedito alla corte spagnola per adempiere a importanti questioni diplomatiche, si sarebbe portato appresso un cuoco genovese, Giobatta Cabona, già da tempo al servizio della sua famiglia. Questi, con uno di quei giochi di prestigio tanto cari all’arte culinaria, in occasione di un importante banchetto a Madrid avrebbe rielaborato una ricetta ben nota a casa sua che, spacciata per inedita e creata ad hoc, sarebbe stata battezzata a corte pâte génoise.
Poi, rientrato a casa, il dolce avrebbe portato con sé il riferimento alla sua terra di adozione, diventando per tutti pan di Spagna.
Oggi sono in molti a sostenere che le cose siano andate più o meno così, e che i veri creatori della leggerissima delizia sarebbero i genovesi. Chi non è d’accordo sostiene invece che la ricetta della Genovese sarebbe leggermente ma significativamente diversa da quella del pan di Spagna tout court. In alcune versioni dell’impasto, infatti, vi comparirebbe il lievito che altrove è bandito, così come il burro, che darebbe al composto una consistenza finale leggermente diversa. Anche sulla tecnica di lavorazione ci sarebbero dei dubbi, visto che la génoise prevede la lavorazione a caldo dei tuorli con lo zucchero, ma su questo si può soprassedere, visto che lo stesso pan di Spagna contempla questa variante in alcuni ricettari.
Tornando agli elementi più significativi, l’assenza sia del lievito sia del burro nella ricetta base del pan di Spagna farebbe propendere per un’altra versione del racconto. Secondo questa scuola, la pasta genovese potrebbe essere la derivazione di un altro dolce, portato a Genova in tempi ben più lontani e solo da qui giunta, tra l’altro, in Francia, dove avrebbe acquisito il riferimento alla repubblica marinara.
La provenienza, dunque, sarebbe sì la Spagna, ma intesa come il Paese da cui i suoi veri creatori erano stati costretti a fuggire esuli dal 1492 per ordine di Isabella e Ferdinando.
Preparato con pochissimi ingredienti, in pratica solo uova, farina e zucchero, il pan d’Espanya sarebbe una delle ricchezze immateriali che gli ebrei sefarditi avrebbero portato con sé nei Paesi in cui si erano stabiliti, dall’Italia al Nord d’Africa fino alle regioni del Nord Europa e da qui alle Americhe. Le migrazioni a così ampio raggio giustificherebbero anche l’enorme diffusione di questo semplice quanto geniale dolce, che in ognuna delle terre in cui è approdato avrebbe perso caratteristiche per acquistarne di nuove.
Se l’assenza di burro lo rende parve (neutro) e quindi adatto a essere consumato anche in un pasto a base di carne, il fatto che la sua morbidezza sia dovuta all’abile lavorazione delle uova e non alla presenza di lievito ne fa la base ideale anche per i dessert di Pesach. Sempre per la festa di Pasqua, sarebbe poi prevista anche una versione priva di farina, a base di fecola di patate o con mandorle tritate a sostituirla in parte o del tutto, a scanso di qualunque possibile accenno di lievitazione e quindi di trasgressione ai precetti.
A questo proposito, e come ulteriore indizio sulle reali origini della preparazione, è interessante notare come il solito Pellegrino Artusi nella sua Arte in cucina riporti, insieme alla ricetta del pan di Spagna, anche una sua deliziosa variante detta focaccia alla portoghese. Preparata con sole uova, zucchero, farina di mandorle, fecola e succo di arancia, questa torta, di nuovo libera da lievito e granaglie, ha molto a che spartire con un dolce tipico di Pesach, quella torta di mandorle e arance che vede l’impiego degli stessi ingredienti seppur usati in modo leggermente diverso con l’esclusione persino della fecola.
Tra le tante testimonianze dell’enorme diffusione del pan di Spagna, va infine citata un’altra torta deliziosa: la Bocca di Dama. Si tratta, in questo caso, di una creazione quasi universalmente riconosciuta come di origine ebraica e quindi una prova in più, viste le sue affinità con il dolce che stiamo analizzando, di una loro matrice comune.
Presente dall’Italia al Maghreb, alla corte di Mantova (si dice che Isabella d’Este ne andasse matta) come nei ricettari ebraici tripolini, questa torta è riportata anche dall’Artusi in due versioni, con o senza farina, con lavorazione a caldo o a freddo. A tutti gli effetti consiste in una variante alle mandorle del pan di Spagna, che anche in questo caso si trasforma via via che si allontana dalle nostre latitudini. Così, se nelle ricette italiane più o meno antiche vi è raramente traccia di lievito, anche quando non vi è alcun riferimento esplicito alla Pasqua, in Libia la torta ne prevede in diversi casi l’aggiunta, perdendo forse in termini di rigore ma acquistando in diffusione tra la popolazione e diventando parte integrante della pasticceria locale.
Pan di Spagna
Ingredienti per 6-8 persone
170 g di zucchero a velo (o comunque finissimo)
85 g di farina
85 g di fecola di patate
6 uova
1 baccello di vaniglia o scorza di limone (facoltativi)
burro (per la teglia, eventualmente sostituirlo con margarina)
Setacciare 75 g di farina con la fecola raccogliendole in una terrinetta. Ungere una tortiera, spolverizzarla con la farina rimasta e capovolgerla per eliminare l’eccedente.
Riunire i tuorli delle uova in una ciotola a sponde alte con la farina e, a piacere, con i semini del baccello di vaniglia (o la scorza grattugiata). Montare gli ingredienti fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.
Montare a neve ben ferma gli albumi tenuti da parte, quindi incorporarli alla crema di tuorli alternandoli a cucchiaiate con il miscuglio di farina, fatto cadere a pioggia e sempre mescolando con delicatezza per non smontare troppo il composto.
Trasferire l’impasto nella teglia preparata e cuocere in forno già caldo a 190° per circa 40 minuti o, comunque, finché uno stecchino infilato al centro non ne uscirà pulito.
Sfornare, fare intiepidire e sformare su una gratella. Lasciare raffreddare il pan di Spagna e servirlo guarnendolo a piacere.
Bocca di Dama
Ingredienti per 6-8 persone
250 g di zucchero
150 g di farina
50 g di mandorle dolci con alcune amare
6 uova
3 tuorli
scorza di limone
Per decorare:
2 albumi
80 g di zucchero a velo
mandorle a lamelle
Sbollentare e spellare le mandorle, tostarle velocemente e tritarle finemente con alcuni cucchiai di zucchero, poi unirle alla farina setacciata in una terrinetta.
Montare tutti i tuorli in una ciotola a sponde alte con il resto dello zucchero e la scorza grattugiata del limone fino a ottenere un composto chiaro e spumoso.
Aggiungere il miscuglio di farina e mandorle alla crema di tuorli, a poco a poco e sempre mescolando, fino a ottenere un impasto omogeneo.
Montare a neve ben ferma i 6 albumi tenuti da parte e incorporarli al composto mescolando dal basso verso l’alto per non smontare troppo il composto.
Versare l’impasto in una teglia foderata con carta da forno e cuocerlo in forno già caldo a 180° per circa 25 minuti, poi coprirlo con carta d’alluminio e cuocerlo per altri 10 minuti.
Sfornare, sformare e fare raffreddare su una gratella.
Nel frattempo, tostare in una padella antiaderente le mandorle a lamelle e montare a gli albumi con lo zucchero a velo. Spalmare la meringa ottenuta sulla superficie della torta, spolverizzarla con le mandorle e passarla in forno caldo a 170° per 10 minuti. Sfornare, lasciare raffreddare e servire.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.