Un viaggio nel web, tra edizioni rare e novità editoriali. Tra il serio e il faceto
Stiamo diventando molto esperti nell’organizzare e mettere in atto viaggi dentro la nostra stanza. Le finestre sono diventati luoghi privilegiati di osservazione sul mondo, dentro e fuori casa: mai come ora le vite degli altri si sono organizzate nella propria intimità domestica, attraendo gli occhi indiscreti di chi è per strada con le borse della spesa, solo per nutrire, un attimo, l’immaginazione e viaggiare un pochino più in là rispetto alla strada, arcinota, che lo separa da casa; e mai come ora le nostre vite personali, private e intime affacciate alla finestra, scelgono la fantasia nel proprio territorio, altrettanto privato e domestico.
Insomma, le finestre. Aprono, certo, ma non è detto che servano a contemplare l’oggettività del panorama su cui si affacciano. Anzi, spesso hanno un effetto rebound: ributtano “il fuori” dentro. Dentro di sè, nella propria interiorità, ancora più piccola e intima del territorio casalingo, magari condiviso con altre persone della famiglia. Ecco, lo stesso fa il web, territorio fortunatamente dalle dimensioni ignote, che volentieri si trasforma in volano per i propri pensieri, i salti dell’immaginazione, le associazioni di idee: basta non fermarle e sullo schermo del computer apparirà tutto quello (o quasi) che ci viene in mente.
Per esempio, la parola Haggadah. Il Meis, Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, con sede a Ferrara, ha scelto di aprire la sua finestra sul proprio archivio. Anzi, no: si collega anche con Venezia e Casale Monferrati per mettere a punto un interessante archivio monotematico sulle haggadot. E in un attimo ci si ritrova a Sarajevo. Perché lì è custodita un’antichissima Haggadah spagnola, del territorio aragonese, probabilmente donata al proprietario come regalo di nozze, fino ad arrivare, diversi secoli dopo, nelle mani di un bambino che la vuole custodire come tesoro di famiglia… La storia la racconta Henry Abramson, storico canadese, che ha aperto un suo canale youtube proprio con lo scopo di divulgare la storia ebraica. Beh, quella dell’Haggadah di Sarajevo è interessante, perché c’è anche un piccolo mistero.
Quindi si finisce nell’Unione Sovietica, 1921. Risale a quel luogo e a quella data la pubblicazione di un’Haggadah “rossa”, conservata alla Biblioteca Nazionale di Israele. Nella Biblioteca israeliana si potrebbe passare un mese senza mai prendere una pausa per visionare le varie haggadot lì consrvate: è forse l’archivio più ricco e completo del mondo.
Ma invece le dita inviano di nuovo un ordine al motore di ricerca che – sorpresa – apre una pagina di foto in cui compare la Trump Passover Haggadah. Beh, non è difficile immaginare dove voglia andare a parare l’autore, Dave Cowen, tra megalomanie e populismi faraonici… “If you’re an afflicted liberal Jew, with an unconservative sense of humor, and you find traditional Seders as dry as matzo, try these irreverent political parody Haggadahs this Passover”, si legge nella presentazione del volume, messo a punto da un importante autore satirico, collaboratore di The New Yorker e McSweeney’s, che ha firmato anche The Yada Yada Haggadah. A sit com seder. Proprio Cowen ci conduce a versioni diciamo estremamente contemporanee: le Emoji Haggadot… Più di una, già! Quella di Martin Bodek è finita anche sul New York Times, ma ne esistono diverse, più o meno “pure”: le immaginette possono esprimere il concetto da sole (versione pura) oppure comparire nel testo (versione impura), in ebraico e non solo. Qui sorge però un problema: non ci eravamo mica liberati della scrittura geroglifica? E non pare un ossimoro parlare della libertà dalla schiavitù in Egitto con un codice di scrittura di poco distante da quello usato dai faraoni?
A seguire Bodek poi si arriva alla strettissima attualità, perché porta la sua firma la nuovissima The Coronavirus Haggadah. Ovvero, come si combatte l’undicesima piaga, chiamata covid-19? L’arma letale è l’ironia: “Until a vaccine arrives, & until all comply with self-isolating & distancing, the only thing left to battle the 11th plague of coronavirus is humor. That’s all we have. So enjoy around the Passover table, & may we return to the Old Normal soon. Amen”.
Hag Pesach Sameach!
È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.