Un viaggio tra le judarias medievali e i musei del futuro
C’è stato un tempo in cui in Europa dire portoghese era sinonimo di ebreo. L’epoca era quella successiva ai decreti di espulsione di fine Quattrocento e la diffusione dei sefarditi nel vecchio continente non era solo la prova dell’intraprendenza dei suoi rappresentanti nelle più diverse professioni e discipline. Con l’adesione del Portogallo nel 1496 alla decisione dei re di Spagna di espellere quanti non professassero la religione cattolica, gli ebrei portoghesi erano stati costretti a iniziare una nuova vita nei principali centri europei. Fondandovi comunità che sarebbero diventate in breve tempo punto di riferimento religioso e culturale anche al di fuori dei confini nazionali. Casi emblematici in questo senso sono Amsterdam e Londra, dove ancora oggi ammiriamo le splendide sinagoghe delle congregazioni, appunto, portoghesi.
Mentre però tanti erano costretti a emigrare per non subire le persecuzioni dell’Inquisizione, pochi altri riuscivano a restare nella terra in cui i loro avi avevano vissuto per oltre mille anni. A questo proposito va ricordato che la presenza nel territorio poi divenuto del Portogallo risale a ben prima dell’istituzione di un regno sotto Afonso Henriques (1109-85). Si ritiene che i primi ebrei vi fossero giunti in epoca romana, per quanto i primi documenti siano databili solo al 482 d.C..
Il Medio Evo e in particolare il secolo XIV sarebbe stato comunque il tempo più florido per gli ebrei in Portogallo, relativamente protetti dai regnanti e, nonostante l’opposizione della classe mercantile cristiana, liberi di prosperarvi. Tra le attività più fortunate la partecipazione, a partire dalla fine del Trecento e per tutto un secolo, alle ondate esplorative prima dell’Africa e delle Indie Orientali e poi delle Americhe. Nello stesso periodo, il loro numero si sarebbe ingrossato grazie all’arrivo dei correligionari dalla Spagna, tanto che le 31 judarias del 1279 in un paio di secoli sarebbero arrivate a 135.
Mettersi sulle tracce di questi antichi quartieri è uno dei modi più appassionanti per riscoprire il Portogallo ebraico, ma non è certo l’unico. Così come non è fatta di soli ricordi l’identità giudaica di questa nazione. Esistono sefarditi, per quanto pochi, che dal loro paese non si sono mai mossi. Anche perché Manoel I, pare nell’impossibilità di garantire la partenza di tutti gli ebrei via mare, aveva preferito convertirli in massa piuttosto che imbarcarli. Diventati cristãos novos, a differenza dei conversos spagnoli i portoghesi poterono in un primo tempo continuare a mantenere le proprie tradizioni culturali pur continuando a occupare posizioni importanti nell’ambito della società portoghese. Questo periodo, che coincide con la creazione di una sorta di nazione a sé stante, si sarebbe chiuso nel 1547, quando l’Inquisizione iniziò la persecuzione dei cosiddetti cripto-ebrei.
Questa sciagurata fase storica, durata ufficialmente per quasi altri tre secoli, pare non abbia scoraggiato però tutti gli ebrei portoghesi. E una delle tappe possibili (e consigliabili) di un jewish tour in Portogallo conduce proprio nel luogo considerato un po’ il simbolo di questa resistenza, il paese di Belmonte, nell’entroterra della regione di Centro. Qui, da circa cinquecento anni sopravvive una comunità, che oggi si aggira tra le 100 e le 300 anime, che è riuscita a nascondere i segni esteriori della propria fede per secoli, sposandosi solo all’interno del proprio gruppo, pregando solo nelle proprie case, senza sinagoghe né rabbini, e tramandando la religione attraverso l’insegnamento delle madri.
Anche se si pensa che i preti locali, nonostante la partecipazione alla vita comunitaria, avessero sempre sospettato la loro identità, gli ebrei di Belmonte sono stati “scoperti” solo nel 1917 da un ingegnere minerario ebreo di origine polacca, l’archeologo e storico della diaspora ebraica Samuel Schwarz. Usciti allo scoperto ufficialmente negli anni Settanta, possiedono una sinagoga dal 1996. La Bet Eliahu si trova in rua da Fonte da Rosa 41 ed è aperta tutto l’anno per i servizi di Shabbat e le feste. Nella stessa cittadina è attivo anche un mikveh, così come un Museo Ebraico , in rua da Portela 4. Inaugurato nel 2005, è stato ristrutturato nel 2016 e riaperto nel 2017 e mette in mostra oggetti che testimoniano la vita di ebrei e “nuovi cristiani” dal Medio Evo a oggi.
Allo scopritore di questa straordinaria realtà, nella stessa regione, si deve in parte anche l’esistenza di un altro luogo fondamentale per la memoria ebraico-portoghese a Tomar. La fascinosa cittadina sulle rive del rio Nabão dominata dal castello fortezza dei Templari e dell’Ordine di Cristo è infatti anche la sede di una delle uniche due sinagoghe medievali ancora integre di tutto il Portogallo. Costruito tra il 1430 e il 1460, il tempio era stato il luogo di preghiera e il centro delle attività religiose e sociali di una comunità organizzata qui presente fin dall’inizio del Trecento.
Trasformata in carcere dopo la cacciata del 1496, fu poi utilizzata come fienile per essere identificata come sinagoga solo nel 1920 da un gruppo di archeologi portoghesi. Iscritta nel registro storico nel 1921, fu acquistata da Schwarz che, dopo avervi fatto i primi lavori di restauro, la donò nel 1939 allo Stato a condizione che vi si allestisse un museo ebraico-portoghese. Il Museu Luso-Hebraico de Abraham Zacuto può tuttora essere visitato al 73 di rua Dr. Joaquim Jaquinto, un vicolo lastricato della città vecchia. Superato il modesto ingresso sull’altrettanto anonima facciata, distinguibile dai palazzi circostanti solo per la presenza della stella di David, si accede a una sala il cui soffitto è sostenuto da 4 colonne che rappresentano le madri di Israele: Sara, Rachele, Rebecca e Lea. Tra le colonne si contano 12 archi, simbolo delle altrettante tribù di Israele, mentre negli angoli della sala di culto quattro orci di argilla amplificano il suono della voce. Recenti scavi hanno rivelato parti del mikveh e portato alla luce diverse monete dell’epoca di re Alfonso V (1446-81) e vasellame di uso quotidiano. Tra gli oggetti storici e religiosi esposti vi si trova anche una lapide del 1307 che evoca la fondazione della Grande Sinagoga di Lisbona.
Per ammirare l’unica altra sinagoga precedente all’espulsione è necessario lasciare la bella Tomar e spostarsi a Castello de Vide, una piccola cittadina collinare non troppo lontana dal confine con la Spagna, la cui popolazione crebbe vertiginosamente all’indomani del decreto dell’Alhambra proprio grazie all’arrivo degli ebrei spagnoli. Anche qui i documenti storici parlano di una comunità e di un quartiere ebraico fin dai secoli XIV e XV.
Oggi l’antica judaria è ancora facilmente identificabile intorno a praço de Comércio (la piazza del mercato), le cui caratteristiche viuzze portano alla piccola sinagoga dell’attuale largo do Dr. José Frederico Laranjo. Costruita alla fine del XIV, nonostante i decreti di espulsione fu utilizzata comunque dai “nuovi cristiani” come luogo religioso e scuola fino alla metà de XVI secolo. In quelli successivi fu adibita ad abitazione, mentre oggi ospita un piccolo museo dedicato alla storica comunità locale. Dalla struttura a due piani, ha una facciata semplicissima caratterizzata da archi ogivali in pietra.
Restando in un passato che si è miracolosamente conservato fino a oggi, vale la pena fare una deviazione a nord fino a Trancoso, un borgo medievale tra i più significativi per quanto riguarda l’antica storia ebraica. Città di passaggio e di scambio per la sua importante fiera, vide la sua comunità toccare le 500 unità nel XV secolo, tanto da essere costretta ad allargarsi fuori dai confini della stessa judaria. A passeggio lungo i suoi vicoli, sarà facile individuare iscrizioni ebraiche, stelle di David, candelabri scolpiti nella pietra e altri simboli sugli stipiti delle porte. In largo Luís de Albuquerque, la Casa de Gato Preto (la casa del gatto nero) è l’abitazione ebraica più famosa del posto e si pensa fosse appartenuta un tempo al rabbino, o addirittura adibita a sinagoga; presenta un Leone di Giuda e le mura di Gerusalemme scolpiti intorno al portale. Nel muro di una casa di piazza Dinis, invece, negli anni Ottanta è stato trovato un rotolo contenente lo Shema Israel. Per concludere la gita, sarà d’obbligo fare un salto in rua Dr. David Bruno 4, presso il Centro Culturale Ebraico Isaac Cardoso. Progettato dall’architetto Gonçalo Byrne, l’edificio è stato fondato nel 2012 e ospita, oltre al Centro, la sinagoga di Beit Mayim, un giardino, due sale espositive temporanee, una sala conferenze e un cortile dove sono stati trovati un pozzo e iscrizioni ebraiche. Nel Centro si possono consultare gli archivi sulla storia dei 700 ebrei di Trancoso perseguitati durante l’Inquisizione e trovare catalogate le circa 300 iscrizioni finora rinvenute in città.
L’identità ebraica portoghese non si basa però solo su un passato remoto come quello medievale, ma anche su una storia ben più recente, relativa al periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo e di una contemporanea, ancora tutta da scrivere. Per conoscere quella del passato relativamente più vicino, legata al ritorno in Portogallo degli ebrei, le destinazioni sono tre dei principali centri del Paese: Faro, il capoluogo della regione meridionale dell’Algarve, Porto, detta la capitale del Nord, e, naturalmente, la capitale propriamente detta, Lisbona.
Quello che accomuna queste tre città è di avere accolto, nell’Ottocento, il ritorno di nuove comunità ebraiche, le prime della storia a potersi stabilire ed esprimere finalmente liberamente. Tra il 1820 e il 1830, famiglie ebree del Marocco vennero a vivere in Algarve e nelle Azzorre. Dopo essere stata, nel XV secolo, un noto centro per la stampa ebraica, Faro vide così nella prima metà del XIX secolo il ritorno di una comunità ebraica, tanto che nel 1860 vi fu costruita una sinagoga e, tra il 1838 e il 1932, fu in uso un cimitero oggi incluso nell’elenco dei luoghi di interesse del Registro portoghese dei monumenti storici. Al suo interno si può visitare un piccolo museo dedicato alle tradizioni ebraiche e una sinagoga. Anche i discendenti di queste comunità si sono poi dispersi nel mondo, tanto che la città ospita ormai solo una manciata di ebrei.
Diverso è il caso di Lisbona e di Porto. Entrambe le città non sono solo state coinvolte dall’immigrazione di inizio Novecento, ma ben più recentemente, grazie alla cosiddetta legge del ritorno del 2014, stanno conoscendo alcuni dei discendenti dei loro antichi abitanti.
Chi oggi visita Lisbona per turismo o con il desiderio di riscoprire il passato dei propri antenati, oltre a una società come quella portoghese ritenuta tra le più accoglienti verso gli ebrei di tutta Europa, troverà anche un luogo di preghiera che parla di una significativa presenza ebraica in città fin dai primi del Novecento.
La sinagoga Sinagoga Shaare Tikvah di rua Alexandre Herculano 59 è stata progettata dall’architetto Ventura Terra e costruita nel 1904. Dalla discreta facciata aperta su un cortile, presenta interni decorati in stile neo-orientale costruiti sulla pianta tradizionale delle sinagoghe ashkenazite. Sul sito della comunità di Lisbona , oltre a informazioni sui servizi e sulle attività, si possono trovare anche informazioni su come richiedere la cittadinanza portoghese, concessa agli ebrei che siano in grado di dimostrare la discendenza dalle antiche comunità sefardite del Portogallo. Attualmente priva di un museo sull’ebraismo, presto Lisbona colmerà la lacuna con la strepitosa opera dell’architetto Daniel Libeskind, l’avveniristico Tikva Jewish Museum che sorgerà nella zona di Belem.
Si apre al mondo anche la comunità di Porto, composta da circa 500 persone provenienti da oltre trenta paesi diversi. La sua stessa sinagoga, in rua de Guerra Junqueiro 340, evoca fin dal nome il suo respiro internazionale, visto che è intitolata ai Kadoorie, ebrei portoghesi che presero la nazionalità inglese e si stabilirono poi a Shanghai. Costruita nel 1936, questa notevole costruzione dalla capienza di circa 300 persone è stata realizzata grazie alle sovvenzioni della famiglia che le ha dato il nome con l’aiuto delle comunità portoghesi di Lisbona, Londra e Amsterdam. Fortissimamente voluta dal capitano Barros Bastos, che nel 1920 fondò la comunità ebraica di Porto e intraprese una campagna per persuadere i cripto-ebrei a tornare al giudaismo dei loro antenati, oggi prosegue in qualche modo l’opera iniziata dal suo fondatore. Sostenendo la già citata legge del ritorno, la Comunidade Judaica do Porto offre sostegno ai discendenti dei sefarditi provenienti da qualunque parte del mondo che intendono prendere la cittadinanza portoghese e che, anche senza risiedere nel Paese, possono così ricucire un antico strappo.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.