Pulizie etniche e deportazioni nella storia di un popolo negato. E un incontro per parlare di genocidio
L’accordo tra Erdogan e Putin è stato siglato. Il patto ha confermato la linea di Ankara sulla stabilizzazione di una “safe zone” estesa a est del fiume Eufrate per 440 km lungo il confine con la Turchia e allo stesso tempo ha tracciato il futuro immediato del nord-est del Paese mediorientale. Il disimpegno degli Usa ha permesso alla Russia di essere presente in un’area da cui era completamente assente.
Il regime di Damasco prenderà il controllo del nord del Paese, Ankara continuerà a mantenere il controllo di un territorio di 120 km di estensione e 30 di profondità, compreso tra le città di Tel Abyad (ovest) e Ras Al-Ayn (est) sottratto all’Ypg con l’offensiva “Fonte di pace” delle scorse settimane.
Queste le ultime notizie da una guerra che coinvolge il popolo curdo in Siria ormai da nove anni. E da un passato ben più lungo che parla di massacri, esodi e pulizia etnica. “Chi sta cercando di ricostruire la memoria curda guarda agli ebrei” spiega Antonella De Biasi. “Si guarda alla Shoah come monumento al male assoluto, purtroppo però dovendo ricredersi dal considerare impossibile il suo ripetersi. Quella dei Curdi non è una Shoah, ma probabilmente ha le dimensioni del genocidio”. Antonella De Biasi, autrice di un libro dedicato alla storia del popolo curdo fino al presente (Curdi, Rosenberg&Sellier) è giornalista attenta ai fenomeni che riguardano quell’area geografica. E continua: “Pensavamo che non fossero più possibili queste discriminazioni, così come la possibilità di trasformare un popolo in un popolo errante. I curdi ora si ritrovano nei vecchi campi profughi, quelli allestiti in precedenti esodi. Sono esodi, spostamenti di quantità di persone tali da rendere giustizia a questa parola. Deportazioni, diremmo oggi. E il motivo è che non esiste la libertà di essere curdi. Oggi chi afferma “sono curdo” afferma l’orgoglio di appartenere al suo popolo, ma anche il dolore di portare con sé le storie tragiche che l’hanno colpito. La memoria va esercitata e va raccontata”.
Hazal Koyuncuer, portavoce della Comunità curda milanese, conferma le parole di De Biasi: “Se si considera la storia da quando i curdi hanno iniziato a parlare di identità, possiamo dire che hanno subito un genocidio. E i numeri delle vittime di questa pulizia etnica sono destinati a crescere perché i curdi hanno dichiarato di non volersi ritirare dal nord della Siria, dalla regione del Rojava, perché credono nei valori della democrazia che hanno istituito. Per farli ritirare, l’unico modo è sparare fosforo bianco contro di loro. È stato creato un corridoio umanitario per spostare le persone verso altre città, come Kobane, ma da lì non se ne andranno e le donne dell’YPJ parlano di libertà o morte”. I dettagli dell’accordo tra Turchia e Russia, d’altra parte, sono chiari: “Prima di tutto la Russia riconosce l’intervento della Turchia “, spiega Koyuncuer, “E in quei dieci punti si dice che i curdi devono abbandonare il Nord della Siria disarmati, lasciando il controllo dell’area per 112 chilometri a russi e turchi e per il restante territorio alla Siria”.
La soluzione potrebbe passare dall’istituzione di uno stato curdo? “Non siamo a favore di uno stato”, risponde la portavoce della comunità curda milanese, “Se Kurdistan significa terra dei curdi è altrettanto vero che in quel luogo vivono tanti popoli diversi suddivisi tra diverse nazioni. Quello che chiedono i curdi è un’autonomia regionale, basata sui diritti universali dell’uomo, come dice chiaramente la carta del Rojava”. L’esperimento del Rojava è molto interessante perché la regione ha visto la nascita di una democrazia dal basso, laica e non religiosa, grazie a uno scardinamento culturale iniziato dalla salvaguardia dei diritti delle donne. “Quella è un’area dove si sono compiute pulizie etniche, una zona di genocidio perché è presente il delitto d’onore, legato a una concezione tradizionalista e a un’applicazione distorta della religione”, spiega Di Biasi, “La cultura, il folklore, la devozione sono cose ben diverse dalla violenza, dagli aborti e dai suicidi forzati e dal controllo totale sulle donne. Nella democrazia del Rojava si esprimono i valori laici dell’individuo, è un tentativo di esprimere il diritto di tutti a contare qualcosa”. Una rivoluzione. Che si scontra però con realtà opposte e con le mire espansionistiche del premier turco Erdogan: “Il leader turco ha superato per numero di anni al potere Ataturk e ha come obiettivo la Grande Turchia, quella dei fasti dell’Impero Ottomano, in una narrazione islamista dello stato”, commenta De Biasi, “E l’Europa è silente, mostrando con evidenza che le istituzioni che ci siamo dati non sono più adeguate alla situazione. Non solo. Erdogan nei Balcani riempie le piazze. La loro storia ancora irrisolta trova appigli nel populismo del premier turco, con un potenziale di rischio enorme”. Ecco, i Balcani. Difficile non pensare a quella tragica guerra fatta di pulizie etniche. Difficile non pensare a quanto è accaduto agli armeni, non riconosciuti dalla Turchia e vittime di un terrificante genocidio, per restare in quell’area geografica.
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Di questo e altro ancora si parlerà stasera al Memoriale della Shoah di Milano, che ospita un incontro organizzato dall’assessorato alla cultura della Comunità ebraica milanese insieme a GARIWO dal titolo Dall’indifferenza al genocidio: la storia non smette mai di ripetersi? Interverranno Gabriele Nissim (presidente Gariwo), Marcello Flores (professore all’Università Internazionale di Siena), Agop Manoukian (Presidente onorario Unione Armeni d’Italia), Gadi Luzzatto Voghera (direttore Cdec), Jean-Paul Habimana (professore di religione alla scuola europea di Milano e sopravvissuto al genocidio Tutsi) e Hazal Koyuncuer (rappresentante della comunità curda milanese).