Il 9 del mese di Av, gli Ebrei di tutto il mondo digiunano in segno di lutto per la distruzione del Tempio. Come mai a distanza di secoli ricordiamo questo evento in particolare? Ma soprattutto, qual è lo scopo del ricordo?
Dal matrimonio al Seder di Pesach, dalla decorazione della casa al modo di portare i gioielli, la tradizione ci impone di aggiungere sempre un po’ di tristezza alla gioia, in ricordo della distruzione del Tempio [zecher le’churban], perché senza di esso nessun avvenimento può essere felice fino in fondo. L’etica ebraica codifica la sofferenza per la distruzione del Tempio e l’esilio dalla Terra d’Israele nell’azione del ricordare; qual è però il punto di ricordare una catastrofe in particolare tra le tante della nostra storia?
La memoria serve a connettere il tempo: ricordando il passato, diamo significato al presente e forma al nostro futuro. Il ricordo è ciò che ci rende umani, che ci permette di mantenere dei rapporti, e ci dà la facoltà di immaginare e di creare. Il verbo ricordare – zachor ( זכור ) – appare nella Bibbia 229 volte: il ricordare è qualcosa di fondamentale nell’Ebraismo. “Ricordiamo” lo Shabbat, “ricordiamo” l’uscita dall’Egitto, “ricordiamo” il dono della Torah sul Sinai ogni volta che la leggiamo. Anche Dio “ricorda”: i patti fatti con Abramo, Isacco e Giacobbe, le speranze di Sara, Rachele e Anna, la cura della Terra di Israele. Yosef Yerushalmi descrive la memoria come qualcosa di cruciale per la fede, per la formazione e la continuazione dell’esistenza del popolo ebraico, molto di più della mera osservanza o anche della conoscenza. Questo è evidente quando vediamo spuntare Ebrei che si identificano tali dopo generazioni di assimilazione forzata o di nascondimento; un lontano ricordo familiare li spinge all’azione.
Scavare nel passato o definirci in base a contesti storici non sono il vero scopo del ricordare. È l’azione. Il Tempio era l’epilogo dell’esodo dall’Egitto. Come è detto (1Re 6:1): “nel 480° anno dopo l’uscita dall’Egitto, nel quarto anno del suo regno, Salomone iniziò a costruire la Casa dell’Eterno”.
È una costruzione insolita, che inquadra di proposito il Tempio nei termini dell’esodo. Questo è perché il Tempio rappresenta il significato di quella libertà dalla schiavitù: la libertà di agire, di adempiere ai precetti divini. Contiamo i giorni da Pesach a Shavuot proprio per riaffermare questa connessione. Il Tempio diventa la struttura fisica che ricorda al popolo ebraico che il patto con Dio richiede la nostra collaborazione per onorare gli scopi della Creazione.
Cambiare per rimanere vivi
Proprio come ricordiamo l’uscita dall’Egitto, proprio come ricordiamo il dono della Torah [Matan Torah], ricordiamo il Tempio [Mikdash – מִּקְדָּשׁ] Ognuno è un punto della storia che ci riporta al vero compito dell’Ebraismo. Il verbo “ricordare” è quello più usato nella Bibbia per ricordarci che siamo stati schiavi. Ricordiamo per aiutare gli altri ad avere dignità e a essere liberi.
Dobbiamo quindi ricordarci di come abbiamo quasi perso la memoria, ma anche di come Yohanan ben Zakkai, la Sinagoga e l’Ebraismo Rabbinico l’hanno codificata nei rituali e nella liturgia per permetterle di sopravvivere. Dovremmo essere in lutto per com’era e festeggiare come il cambiamento radicale ha mantenuto viva la sua essenza. Ricordare la distruzione del Tempio ci aiuta a capire sia il nostro compito nel mondo, sia che a volte il nostro messaggio può essere ascoltato solo con una trasformazione radicale.