Una grande personale a Palazzo Pitti riporta i lavori dell’artista morto ad Auschwitz che aveva fatto di Firenze il suo rifugio
«Sono sempre stato ottimista, ma comincio lentamente a prevedere cose tremende», così scriveva Rudolf Levy da Firenze in una lettera a un amico rientrato in Germania. Sono i primi anni Quaranta e il pittore ebreo tedesco è da poco approdato nel capoluogo toscano dopo anni di peregrinazioni tra la Liguria, Maiorca, gli Stati Uniti, Dubrovnik e Ischia.
Cresciuto artisticamente tra Monaco, Berlino e Parigi, l’artista era stato costretto a lasciare il suo paese nel 1933 con l’avvento di Hitler. Le sue opere, caratterizzate dallo stile essenziale e i colori pieni e solari di Matisse ma attraversate dalla drammaticità gotica della Secessione di Berlino, rappresentavano per i nazisti quell’arte “degenerata” di cui i musei e il mondo avrebbero dovuto liberarsi. Insieme ai suoi autori.
Le previsioni di Levy si sarebbero avverate nel giro di pochi anni e, caduto nella trappola di sedicenti collezionisti, l’artista sarebbe stato arrestato, incarcerato alle Murate e quindi trasferito a San Vittore, a Milano, per poi essere caricato su un convoglio diretto ad Aushwitz. Non ne avrebbe fatto ritorno, morto forse in viaggio o assassinato appena giunto a destinazione. Fino all’ultimo, Levy si era avvinghiato alla vita con la forza di quell’ottimismo che lui stesso si riconosceva. Oggi la sua produzione artistica, specchio dell’energia dell’uomo che era stato, è in mostra fino al 30 aprile a Palazzo Pitti. La retrospettiva si intitola Rudolf Levy, l’opera e l’esilio ed è stata curata da Camilla Brunelli, direttrice del Museo della Deportazione di Prato, da Vanessa Gavioli, curatrice delle Gallerie degli Uffizi, e da Susanne Thesing, autrice della monografia Rudolf Levy. Leben und Werk.
Massimo Bacigalupo, figlio di Giuseppe, collega e amico dello stesso Levy, in un recente articolo sul Manifesto descrive l’artista appena arrivato in Italia come “un uomo grosso dalla voce profonda che non lasciava sospettare la sua omosessualità, bevitore, giocatore, amante della bella vita dei caffè, sereno e pacato come le sue opere”. Erano i primi anni di esilio e il pittore tedesco stava facendo tappa a Rapallo, ospite presso la villa di un amico e allievo olandese. Flemmatico e apparentemente impassibile, aveva trovato nel nostro Paese un ambiente accogliente, prima in Liguria e poi, dal 1941 al 1943, a Firenze. Circondato da amici, viveva in un ambiente artistico dove era ancora possibile lavorare e, a volte, perfino a divertirsi nonostante il regime.
Sul paradosso degli artisti e intellettuali ebrei che, in fuga dal nazionalsocialismo in Germania, avevano trovato come Levy rifugio nell’Italia fascista si sono concentrati gli studi del berlinese Klaus Voigt. Lo storico dell’arte ha dedicato all’argomento importanti pubblicazioni (“Zuflucht auf Widerruf. Exil in Italien 1933-1945”) nonché la mostra itinerante “Rifugio Precario. Artisti e intellettuali tedeschi in Italia 1933-1945 / Zuflucht auf Widerruf. Deutsche Künstler und Wissenschaftler in Italien”, allestita nel 1995 prima a Palazzo della Ragione di Milano e poi a Berlino. Morto nel 2021 mentre stava lavorando all’ultimo capitolo della biografia di Rudolf Levy, opera che sarà pubblicata in Germania a cura della storica dell’arte Brigitte Bruns, Voigt è anche l’uomo cui si deve l’idea dell’attuale mostra fiorentina, da lui fortissimamente voluta e a lui doverosamente dedicata.
Con le 47 opere esposte, corredate da fotografie, lettere e ritagli, la retrospettiva di Palazzo Pitti ha il grande merito di fare conoscere anche al grande pubblico l’opera di un artista i cui lavori presenti nelle collezioni dei musei tedeschi sono andati perlopiù trafugati o dispersi durante la guerra. Fondamentale nella sua produzione artistica, Firenze è il luogo in cui Levy ha realizzato oltre una cinquantina di dipinti, soprattutto nature morte e ritratti, facendo degli anni tra il 1941 e il 1943 uno dei suoi periodi più prolifici. Aveva allestito il suo atelier presso la Pensione Bandini nel Palazzo Guadagni, in piazza Santo Spirito, e dalla finestra aveva continuato a lavorare anche quando era arrivato il divieto di dipingere all’aperto. La piazza, i tetti e le colline sullo sfondo erano diventati i suoi soggetti privilegiati. A questi ultimi anni risale anche il severo autoritratto realizzato nel ’43 e giunto a Firenze grazie a un prestito dal Museum Pfalzgalerie di Kaiserslautern. Forte di una collezione che comprende gran parte delle sue opere, il museo tedesco il prossimo autunno dedicherà a sua volta a Levy un’altra grande mostra in occasione degli ottant’anni dalla morte.
Tornando all’esposizione fiorentina, questa si articola in tre sezioni, dedicate rispettivamente alla prima produzione giovanile, a quella degli anni a cavallo tra le due guerre e infine a quella degli anni dell’esilio. La prima parte comprende opere dipinte fino alla prima guerra mondiale in cui è particolarmente evidente l’influenza di Henri Matisse. Dopo avere iniziato a dipingere in Germania sotto la guida di Heinrich von Zügel, uno dei fondatori della Secessione di Monaco, il giovane Rudolf si era infatti trasferito a Parigi, dove era diventato allievo e collaboratore del pittore francese condividendone le forme essenziali con la vivacità dei colori tipicamente mediterranei. Nella seconda sezione si possono ammirare le opere dipinte tra il 1919 e il 1933, risalenti quindi al periodo in cui, tornato dalla guerra, Levy era andato a vivere a Berlino, realizzandovi nel 1922 la sua prima mostra personale. Lo stile è sempre segnato dalla scuola di Matisse, anche se non mancano le influenze delle avanguardie tedesche. La terza tappa del percorso raccoglie la produzione degli ultimi dieci anni di vita del pittore e offre la possibilità di vedere anche opere mai esposte in Italia, oggi conservate in collezioni private e pubbliche, soprattutto in Germania. Insieme al già citato Autoritratto, risale a questo periodo anche Fiamma, bellissimo ritratto di ragazza dipinto proprio a Firenze nel 1941 e qui tornato in pianta stabile da quando nel 2020 la direzione degli Uffizi lo ha acquistato per la collezione permanente del museo.
Rudolf Levy, l’opera e l’esilio, Palazzo Pitti, Firenze fino al 30 aprile