Al Jewish Film Festival di New York la pellicola che racconta la storia di un ebreo austriaco che porta in tribunale gli assassini della sua famiglia a Mauthausen
C’è anche molta Europa nella 32esima edizione del New York Jewish Film Festival, in programma fino al 23 gennaio presso il Lincoln Center. Certo, la rassegna dedicata all’ebraismo nella cinematografia internazionale prevede ovviamente anche numerose pellicole della produzione israeliana e statunitense, o di entrambe come June Zero, il film di Jake Paltrow di cui abbiamo già parlato su queste pagine. Si va dal documentario israeliano Exodus 91, dove Micah Smith racconta la cosiddetta Operazione Solomon nel corso della quale Israele ha negoziato il rilascio di 15mila ebrei etiopi, o l’ultima fatica del documentarista israeliano Tomer Heymann, I Am Not, che lo segue nel suo viaggio nella natia Guatemala.
Sempre tra i documentari, segnaliamo il divertente lavoro di Amanda Kinsey, Jews of the Wild West, che si concentra sul ruolo finora misconosciuto che hanno avuto gli ebrei nel West passato, presente e cinematografico. Si torna invece alla fiction con America, dove Ofir Raul Graizer racconta la storia di identità sessuale e trauma personale di un allenatore di nuoto che vive a Chicago e che rientra in Israele, suo paese di origine, dopo la morte del padre. Uscito 25 anni fa e oggi restaurato, il 19 è stato presentato anche A Life Apart, di Oren Rudavsky e Menachem Daum, la prima e più completa esplorazione sulle comunità chassidiche americane.
Per il resto, però, Francia e Polonia si spartiscono con l’Austria e la Spagna gran parte delle proposte, con pellicole già raccontate nei mesi scorsi su Joi come la produzione franco-ucraina Shttl o il documentario francese Charlotte Solomon, sulla pittrice uccisa ad Auschwitz a 26 anni. Uscito nel 2021 e in programma a New York il prossimo 22 gennaio, a chiusura di rassegna, si vedrà poi anche lo spagnolo Alegria di Violeta Salama, con una madre single che affronta la sua eredità ebraica tornando a Melilla, sua città natale sulla costa settentrionale dell’Africa, in occasione del matrimonio ortodosso della nipote.
Da poco presentato anche al Jewish Film Festival di Gerusalemme è stato proiettato pure a New York il film franco-italiano Where Life Begins (Alla vita), opera prima di Stephane Freiss ambientata nella campagna calabrese durante la raccolta dei cedri. Già uscito da noi l’estate scorsa, il lungometraggio è oggi disponibile sui canali streaming del pacchetto Sky così come il francese Adieu Monsieur Haffmann (Addio, Signor Haffmann) di Fred Cavaye, con Daniel Auteuil, gioielliere ebreo a Parigi durante l’occupazione tedesca.
Non ha ancora una programmazione italiana, ma sarà bene tenerne d’occhio l’uscita, invece, Schachten, dell’austriaco Thomas Roth. Ambientato nella Vienna degli anni Sessanta, è un film che mescola il dramma con il poliziesco e il thriller. Un’opera di fiction ispirata esplicitamente a una storia vera che come dichiara il suo autore e regista “affronta i temi della legge, della giustizia e della vendetta”.
La vicenda ha come protagonista Victor Dessauer (impersonato dall’israeliano-tedesco Jeff Wilbusch), giovane uomo di affari austriaco nato negli anni Trenta che da bambino ha visto uccidere i propri nonni dai criminali nazisti mentre i genitori e la sorellina sono stati deportati a Mauthausen, dal quale solo il padre è tornato vivo. Completamente solo, il piccolo Victor a 8 anni è riuscito a salvarsi nascondendosi nella foresta e a sopravvivere in qualche modo alla guerra, rifacendosi poi una vita con il padre riprendendo in mano la loro azienda tessile a Vienna. Verrà a sapere che Kurt Gogl, che a Mauthausen gli ha ucciso la madre e la sorellina, vive nella regione del Salzkammergut, in Austria, dove lavora come preside di una scuola. Grazie all’intervento del cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal (personaggio reale qui interpretato da Christian Berkel), Vistor riuscirà a portare l’uomo davanti a un tribunale, senza però ottenerne la condanna.
Consapevole che la giustizia in Austria è nelle mani di ex nazisti che operano ancora impunemente, il giovane tenterà di far valere la legge da solo, prima con le buone, rivolgendosi direttamente a Gogl e cercando di convincerlo a confessare i suoi crimini, e poi, a seguito della morte del padre, logorato da questa ennesima sconfitta, con metodi via via sempre meno ortodossi. Braccato ormai dall’entourage dell’ex aguzzino, rinuncerà all’aiuto di Werner Kohlmeier, un agente del Mossad che si offre di salvarlo portandolo fuori dal paese, ed escogiterà un piano spiazzante per punire il criminale che ha sterminato la sua famiglia.
Scritta da Thomas Roth in cinque anni, dopo che un giovane produttore cinematografico ebreo di Monaco, la cui famiglia era originaria di Vienna, gli aveva proposto di sviluppare una storia che esplorasse la vita degli ebrei a Vienna dopo la Seconda Guerra Mondiale, la sceneggiatura di Schachten racconta fatti avvenuti oltre mezzo secolo fa, ma in un’ottica purtroppo quanto mai attuale. Dice il regista: “Il mio film esplora i temi dell’antisemitismo, del razzismo e dell’esclusione delle minoranze. Si concentra sulla misura in cui il sistema giudiziario è determinato da forze politiche. Parla del ruolo dei media e analizza la questione se i singoli individui abbiano o meno la capacità e la responsabilità di sollevarsi all’opposizione. Questi temi sono rilevanti oggi come lo erano sessanta anni fa”.
Gli fa eco Katharina Ernst della casa di produzione Cult Film, secondo la quale “l’atto di ricordare l’Olocausto si trova ad affrontare una serie costante di nuove sfide. Ad esempio, come vediamo nelle notizie attuali, l’antisemitismo in Austria è aumentato. Come umanista e come persona che non si sottrarrà mai al lavoro per fare i conti con la storia dell’Austria, mi trovo di fronte alle stesse domande: Come è possibile? Stiamo dimenticando il nostro passato? È importante per me, come produttore, contribuire a una cultura della memoria, in particolare ritraendo la violazione della civiltà associata alla dittatura nazista e gli effetti a lungo termine di quegli anni nel dopoguerra”. Sempre a proposito di memoria, la Ernst prosegue: “Non possiamo affermare di aver fatto i conti con il passato se gli individui devono ancora lottare per il riconoscimento, la riparazione, la riconciliazione e il ricordo. Produrre Schächten è il nostro modo di trasmettere le biografie storiche di cui abbiamo bisogno come società per essere in grado di riflettervi criticamente”.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.