Cultura
Scrittura e soggetto etico

Un approfondimento della relazione tra scrittura e soggetto, che include la pratica di lettura, in riferimento al consonantico ebraico

Attraverso l’uso di differenti supporti materiali, l’uomo è da sempre immerso nell’attività dell’incidere, poi delineare, figure, forme e – infine – lettere. Atto grafico, di cui siamo soliti distinguere tra disegno e scrittura, lasciandone in ombra le molte intersezioni e sfumature. Attività che, potremmo dire, ha segnato l’uomo, plasmandone la (e le) identità. Scrittura dell’uomo, dunque, nel doppio senso di: operata dall’uomo e avente ad ‘oggetto’ l’uomo stesso. È sullo sfondo di tali riflessioni, portate avanti in alcune lezioni e testi di Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, che è possibile approfondire il rapporto tra scrittura e nozione di soggetto (quindi, in senso più ampio, di identità). 

In filigrana ad alcuni passaggi di un testo di Carlo Sini (La scrittura e il debito) in cui questi prendeva le mosse, criticamente, da alcuni dei nodi affrontati dalla linguista e antropologa Clarisse Herrenschmidt (L’invenzione della scrittura), diviene possibile assumere il riferimento alla scrittura, alla sua genesi, non tanto (o solo) come fatto storico, bensì da un punto di vista più ampio, se si vuole teoretico. Si fa così avanti un’idea della scrittura e del linguaggio distante da quella che è via via divenuta parte del senso comune: l’idea dei segni come convenzione, strumenti di conoscenza e comunicazione forgiati da un uomo concepito quale (già) soggetto razionale e pensante.

Differentemente è possibile individuare gli elementi di prossimità tra realtà esterna e segno grafico, mettendo in risalto la continuità tra ciò che oggi chiamiamo segno pittorico – in riferimento ai pittogrammi rupestri – e ciò che si è via via venuto a conformare come segno alfabetico. L’atto grafico, di rappresentazione figurativa anzitutto e quindi, gradualmente, di scrittura, piuttosto che essere la riproduzione da parte del soggetto della realtà esterna, è evento con cui qualcosa come uomo e realtà esterna si sono venuti a definire nei loro rispettivi distinti statuti di ente e soggetto.

Da qui è possibile approfondire la relazione tra scrittura e soggetto, andando a includere la pratica di lettura, in riferimento al consonantico ebraico. Relazione che si determina vuoi per via di alcuni dei suoi tratti strutturali (lettere che richiedono l’attività di vocalizzazione) vuoi in ragione dei modi d’uso che si sono, per ragioni culturali (vedi religiose) affermati, a partire dall’attenzione ermeneutica al significante (dalle singole parole alle radici – solitamente composte da tre lettere – e così via) nella produzione di significato. Proprio a partire dalla nozione di scrittura quale ‘evento’ è possibile cogliere un aspetto icasticamente reso da Herrenschmidt allorché, facendo riferimento all’atto di vocalizzazione da praticarsi rispetto alla grafia consonantica dell’ebraico, parla di “prestito d’alito divino”. Espressione evocativa e particolarmente adatta, ci sembra, a restituire l’idea che l’atto di lettura sia, almeno in questo particolare contesto, atto di ri-creazione del senso del testo. Perché questo è aperto (dentro una specifica cornice di valori nonché di determinati parametri interpretativi) alla polivalenza di significati. Ma anche, più strutturalmente, perché l’atto stesso di lettura, nella misura in cui richiede la vocalizzazione, implica una partecipazione del soggetto, dove i poli di passività (essere orientati da una scrittura) e attività (farsi carico del significato di tale scrittura) si rimandano tra loro. Possiamo così riconoscere nell’endiadi di scrittura e lettura la condizione per il formarsi di un determinato tipo di soggettività: quell’identità collettiva che porta il nome di Israel, qui colta in una specifica idea della prassi di lettura, dove – per riprendere le parole della filosofa francese Catherine Chalier, già allieva di Levinas – “l’attenzione alla debolezza del volto” si riverbera e ritrova “nell’attenzione verso la fragilità dei versetti”, da rispettare nella loro alterità.

Si coglie così, più in generale, un’idea di soggetto etico, che è tale a partire e per mezzo della scrittura. Tuttavia tale idea di soggettività non pare scaturire meccanicamente (necessariamente) dalla scrittura in quanto tale. Herrenschmidt e Sini, per vie differenti, fanno – in tal senso – riferimento a quella forma di scrittura che, registrando le transazioni commerciali e il debito, crea le condizioni per la potenziale resa a schiavitù di colui che non è in grado in grado di pagare il debito così registrato: uomo assoggettato alla scrittura economica, alla segnatura del numero e alla riduzione del singolo a questo.

Nella scrittura ritroviamo dunque tanto la condizione – verrebbe da dire materiale, grafica – per il cristallizzarsi di categorie astratte, che rischiano talvolta di comprimere l’eterogeneità del reale, quanto per il determinarsi dell’alterità di ogni uomo chiamato ad apportare la propria voce singolare alla lettura. Al di là dell’economia di pensiero propria alla Tradizione, vuoi l’ebraico, per il “prestito d’alito divino” richiesto a determinati atti ermeneutici, vuoi l’attenzione riposta, nella Torah orale, a far emergere i nomi dei singoli Maestri (anche quando la loro opinione è minoritaria o scartata) possono, per così dire, spingerci a ritrovare nel linguaggio, nella sua declinazione scritta e orale, un’occasione etica, dove alla generalità di categorie definizioni si accompagni la singolarità irriducibile dei nomi propri.

Cosimo Nicolini Coen
collaboratore

Cosimo Nicolini Coen ha studiato alla Statale di Milano, dove si è laureato in Ermeneutica filosofica e Filosofia del diritto, e all’Università Jean Moulin III, a Lione;  attualmente è dottorando a Bar Ilan. Ha pubblicato il libro Il segno è l’uomo per Durango Edizioni.

 


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