Quello che nel Medio Evo era stato uno dei centri ebraici più importanti del regno di Castiglia reca oggi solo le tracce della sua passata grandezza
Secoli di storia e stratificazioni urbanistiche hanno cancellato in Spagna gran parte dell’eredità sefardita. E Segovia non fa eccezione. Quello che nel Medio Evo era stato uno dei centri ebraici più importanti del regno di Castiglia reca oggi solo le tracce della sua passata grandezza. A differenza di quanto avvenuto altrove, però, nonostante l’annientamento della comunità culminato con l’espulsione del 1492, qui è ancora possibile individuare le tracce materiali di questo fondamentale capitolo di storia. Una storia che si pensa iniziata nel XIII secolo, epoca dei primi insediamenti ebraici in città. Sembra che all’epoca gli ebrei vivessero pacificamente entro le imponenti mura di questa cittadina arroccata su una collina tra i fiumi Clamores ed Eresma. Lavorando e pagando allo stato ingenti tributi già all’epoca della conquista di Alfonso VI, nel 1294. Tra le loro attività risaltano il commercio, l’artigianato e all’industria manifatturiera, soprattutto la concia e la produzione di tessuti, mentre non si hanno notizie di allevatori e coltivatori. Era un tempo in cui non sembravano esistere limitazioni per quanto riguardava il luogo di residenza. Apparentemente ben tollerati dal resto del popolo quanto in un certo modo protetti dai regnanti, i sefarditi di Segovia erano distribuiti un po’ su tutto il territorio. Certo, prediligevano dei quartieri, ma senza costrizioni dall’esterno. A distanza di un secolo, nel 1391 gli abitanti ebrei di Segovia costituivano ancora una fortunata eccezione rispetto a quelli del resto del paese e sembravano al riparo dalle persecuzioni subite altrove. Questo relativo privilegio sarebbe comunque durato poco. L’invidia per l’influenza esercitata a corte da alcuni ebrei, si vedano autorità come il rabbino Meir Alguadez, medico personale del re, avrebbe alimentato le tensioni e portato alle prime accuse infamanti. La principale di queste risale al 1410 e fa riferimento a una presunta profanazione dell’ostia. Convinto della loro colpevolezza, il vescovo Juan de Tordesillas avrebbe fatto arrestare diversi ebrei, tra cui lo stesso Alguadez. Come racconta il convertito Alonso de Spina, autore del Fortalitium Fidei e profondo avversario dei suoi ex correligionari, il prelato li avrebbe in seguito anche accusati di aver tentato di avvelenarlo corrompendo il suo cuoco… A seguito di queste calunnie, citate anche da altri storici, diversi ebrei sarebbero stati uccisi mentre molti avrebbero abbandonato la città.
Visto poi che la profanazione sarebbe avvenuta nella Sinagoga Maggiore, si era passati anche alla confisca dell’edificio. Si trattava, come suggerisce il nome, del tempio principale della comunità di Segovia, posto al centro di quello che era nel frattempo diventato il quartiere ebraico, tra quella che oggi è la via Judería Vieja, la via Puerta del Sol e la cinta muraria. Documenti del 1419 già vi fanno riferimento indicando l’edificio come “chiesa nuova”, passando nel 1421 a chiamarlo come chiesa del Corpus Christi. Passata da un vescovo all’altro dalla sua espropriazione in poi, l’ex sinagoga sarebbe stata usata come monastero e convento, con relativi locali costruiti ex novo e poi distrutti da un incendio nel 1899. Gravemente danneggiata dal fuoco, la chiesa era stata restaurata agli inizi del Novecento, recuperando le strutture del culto cristiano ma perdendo ulteriori elementi di quello originario. A farli tornare in superficie ci avrebbero pensato gli interventi dui restauro terminati nel 2004 e volti a ripristinare il più possibile gli intonaci che decoravano la sinagoga. Oggi, prendendo accordi con le responsabili dell’Ordine delle Clarisse che possiedono l’edificio e che ne curano la visita, sarà possibile ammirarne i caratteristici capitelli a pigna dei pilastri e le due arcate cieche che collegano il tetto ai grandi archi. Un lavoro di ricostruzione basato sui disegni realizzati da Jose María de Avrial y Flores prima del fatidico incendio.
Usciti dall’arco gotico in pietra calcarea dell’edificio si potranno apprezzare altri interventi di recupero della Segovia ebraica. Come già detto, ci troviamo nel cuore della aljama, ossia del quartiere chiuso da otto porte nel quale gli ebrei erano stati costretti a vivere dopo che il tribunale di Toledo avevano imposto nel 1480 la loro separazione dalla popolazione cristiana. Prima, la regina Caterina aveva già emanato precise disposizioni a nome del figlio minorenne, Giovanni II, note come Leggi di Ayllón che obbligavano la comunità ebraica a risiedere in specifiche zone della città, ma la reclusione non era mai stata attuata alla lettera.
Il secondo e ben più restrittivo quartiere si trovava sul lato sud della cinta muraria, nel settore compreso tra Plaza Corpus Christi e Las Canonjías. Lo chiudevano otto porte più le due nelle mura cittadine: Puerta de San Andrés e Puerta del Sol. La via principale era l’antica Calle Mayor, oggi chiamata Judería Vieja. Con l’espulsione del 1492 la denominazione di quartiere ebraico avrebbe perso di senso, assumendo il nome di Barrio Nuevo, ma la sua struttura non è stata sostanzialmente stravolta. Certo, non mancano gli edifici di epoca ben più moderna, ma è ancora possibile ricostruire con un buon margine di sicurezza le antiche funzioni di quanto sopravvissuto. La preservazione del quartiere dal punto di vista urbanistico è il risultato del progetto ARCH (Area di Riabilitazione del Centro Storico) grazie al quale tra il 2005 e il 2009 è stata effettuata una riforma globale della ex juderia con un sostanziale miglioramento del suo patrimonio.
Oggi chi visita questa fascinosa cittadina a un’ora e mezza di treno da Madrid potrà vivere l’esperienza di una passeggiata nella storia. Nel quartiere troverà non solo l’ex Sinagoga Principale ma anche la cosiddetta Seconda Sinagoga Maggiore, la Sinagoga Ibáñez. Divenuta il tempio più importante della comunità segoviana dopo l’espropriazione della prima, sarebbe diventata abitazione privata nel corso del Cinquecento mantenendo un uso residenziale fino al XX secolo, quando fu acquistata dalla congregazione delle Figlie di Gesù, sue attuali proprietarie. La teoria che si trattasse un tempo di una sinagoga è stata confermata negli anni Ottanta dalla scoperta dei resti del mikveh e di due finestre.
Degli altri antichi luoghi di preghiera non si hanno tracce visibili, ma gli storici hanno individuato il luogo in cui sorgevano. La cosiddetta Sinagoga Vecchia si trovava ad esempio nell’Almuzara, l’attuale Plaza de la Merced. Nel 1412 era stata ceduta al Convento di Santa Maria de la Merced per poi scomparire dalla scena. Sorte analoga hanno avuto anche le sinagoghe di Burgos e del Campo. La prima si trovava in via Escuderos, l’altra vicino alla Puerta de San Andrés, all’interno del cosiddetto Corralillo de los Huesos, all’inizio dell’attuale via Martínez Campos.
Si possono solo immaginare anche le due scuole religiose di cui parlano i documenti storici e che avevano contribuite a fare di Segovia uno dei più importanti centri di studi ebraici nel Medio Evo. Una delle due si trovava vicino alla parrocchia di San Miguel, nell’attuale via Infanta Isabel, l’altra nell’Almuzara, nei pressi della Vecchia Sinagoga. Prima dell’espulsione esisteva anche un ospedale, si pensa accanto alla Sinagoga del Campo.
Secondo i documenti storici nell’aljama di Segovia si trovavano anche due macellerie, a brevissima distanza l’una dall’altra ed entrambe vicine alla cinta muraria. La prima pare si trovasse su una sporgenza delle mura tra la Puerta de San Andrés e l’Alcázar. Nel XV secolo questo luogo avrebbe accolto il macello della città mentre oggi ospita il Museo di Segovia. L’altra macelleria si trovava in via Martínez Campos, vicino alla Puerta de San Andrés, e a essa si dovrebbe il nome di Corralillo de los Huesos (ossia degli ossi), relativo ai resti di animali trovati in zona. Sempre qui gli storici collocano anche il forno, la cui esistenza non è però documentata fino a dopo l’espulsione.
Per avere un quadro complessivo più preciso e completo della storia ebraica cittadina è consigliata la visita al Centro Didáctico de la Judería de Segovia. Il museo ha sede in quella che era stata la casa di Abraham Seneor, notabile della comunità ebraica, e poi del filologo e studioso Andrés Laguna, discendente di conversos. Nelle due sale adibite all’esposizione sarà possibile approfondire la storia dei sefarditi di Segovia attraverso pannelli informativi, oggetti e postazioni multimediali, passando dagli scorci dell’attuale quartiere ebraico ai documenti dell’archivio cittadino relativi alla presenza ebraica, dalla ricostruzione della celebrazione dello Shabbat alla storia della Sinagoga Principale. Lo stesso ente è sempre responsabile di un interessante programma di divulgazione della storia e della cultura ebraica attraverso visite guidate, spettacoli, concerti e laboratori.
Uscendo non solo dal Centro Didáctico ma anche dall’antica juderia e dalle mura stesse della città si entra in quello che è l’unico sito archeologico specificamente ebraico di Segovia: il Cementerio judío de la Cuesta de los Hoyos. Posto all’altezza della Porta San Andrés, il cimitero ebraico è separato dal centro urbano dall’antico letto del fiume Clamores, ben individuabile, nella parte inferiore, grazie all’ampia scarpata scavata dall’acqua nella roccia. Ad accesso libero, offre la visione di due tipologie di sepolture, a fossa e a camera ipogea. Presumibilmente più antiche, le seconde si presentano come grotte dalla pianta circolare o ellittica e l’altezza centrale di poco più di un metro e mezzo che va riducendosi verso i lati. Vi si accede attraverso aperture quadrate o rettangolari precedute da un piccolo spiazzo con rampe di accesso. L’assenza di resti umani rilevanti, di corredi funerari o di elementi epigrafici non ha consentito agli archeologi di stabilire una precisa cronologia d’uso di questo spazio funerario, ma la necropoli resta una importante testimonianza dei circa tre secoli di storia della comunità ebraica segoviana. Protetto dall’espansione della città, limitata dalle attigue mura, il cimitero è stato in qualche modo il responsabile del recupero del passato ebraico di Segovia, iniziato proprio con gli scavi realizzati nel 1886 dagli ingegneri Joaquín María Castellarnau e Jesús Grinda e proseguito nel corso del Novecento con le campagne di scavo degli anni Venti seguite dai rilievi eseguiti tra gli anni Sessanta e l’inizio di questo secolo.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.