Il rimedio per riscoprire le relazioni umane e guarire dalla nomofobia
Spesso e volentieri la città santa di Gerusalemme viene tappezzata di manifesti anti-internet. Per lungo tempo uno dei più diffusi è stato quello che associava Internet al cancro: secondo questa tesi rabbinica, in Israele ci sarebbero 160.000 malati di tumore come castigo per l’utilizzo smodato di internet. E la tesi veniva avvalorata dal fatto che la parola Internet in ebraico ha un valore numerico pari a 319, ghematria della parola Sartan, cancro.
“Una vita felice è possibile solo senza internet e film” leggiamo sul cartello che alcuni haredìm, gli ebrei ultraortodossi, esibiscono spessissimo davanti alla stazione degli autobus di Gerusalemme. Alcuni rabbini paragonano internet alla morte e a Satana. Si lamentano del fatto che porti alla perdizione innumerevoli talmidei yeshivàh e distrugga intere famiglie e, per questa ragione, ne proibiscono severamente l’uso. Secondo Rav Kanievsky è proibito possedere ed utilizzare l’iPhone ed è altresì proibito venderlo a un goy, a un non-ebreo. Il Mekubàl Rabbi Shmueli Binayahu Shlita considera che chi è in possesso di un iPhone o uno Smartophone non possa neppure essere contato nel minyàn.
Sebbene io consideri Internet come rivoluzionario mezzo di connessione universale, non posso negare che l’uso che ne facciamo stia diventando una malattia sociale: dopo la sfida contro la tossicodipendenza da stupefacenti, nasce la sfida contro la moderna dipendenza da internet. Una vera e propria patologia che gli esperti hanno denominato nomofobia, cioè la paura incontrollata di rimanere senza connessione, o anche IDA (Internet Addiction Disorder).
Siamo continuamente interrotti da migliaia di stimoli virtuali, che siano messaggi, chat, e-mail e notifiche di ogni tipo. Questa dipendenza ossessiva da cellulare, tablet, computer e connessione internet è una vera nevrosi collettiva.
Un rimedio infallibile, lo Shabbat
Dobbiamo dunque conformarci al pensiero degli Haredìm e proibirne l’uso?
Certo che no. Internet è un mezzo straordinario, se usato con saggezza. E per i rischi di dipendenza maniacale, l’ebraismo ha un rimedio molto efficace: lo Shabbat.
Basta osservare lo Shabbat per essere immuni da questa malattia. Spesso ad amici laici e non-ebrei che mi chiedono per quale ragione io, donna moderna libera ed aperta, osservi lo Shabbat, e per di più secondo le rigorose ed antiquate modalità dell’ebraismo ortodosso piuttosto che quelle più liberali dell’ebraismo riformato, rispondo che senz’altro se non fosse per lo Shabbat, non staccherei mai la spina. Sono un’artista poliedrica, ho una personalità iperattiva. Da anni dormo quattro-cinque ore a notte, lavoro in maniera infaticabile e mi trovo in un perenne stato creativo anche durante il riposo, tanto che a volte le mie idee nascono durante il dormiveglia o il sogno. Osservare lo Shabbat mi consente semplicemente di staccare da tutto: per un giorno a settimana non solo mi riposo, ma anche mi disconnetto dalla rete: niente cellulare, internet, computer, news e tutto il rumore odierno. Per 25 ore a settimana il cellulare e il computer rimangono felicemente spenti. Ho così tempo di stare con gli altri e di pensare a lungo senza il timore di esser distratta o interrotta. Lo Shabbat è per me il giorno della riflessione, il giorno in cui ricarico le batterie, il giorno in cui mi concedo di pensare solo a me stessa e alle persone che amo, senza preoccupazioni di ordine materiale. Tutti i problemi si accantonato e si rimettono a dopo Shabbat. Ricomponiamo in una fluida unità, la frammentazione dispersiva settimanale.
Ecco perché credo che lo Shabbat sia l’invenzione ebraica più geniale in assoluto, soprattutto nell’era tecnologica.
Shabbat è un giorno di digiuno mediatico che ci preserva dal precipitare nella moderna patologia dell’iperconnessione. In un certo senso lo Shabbat, sebbene elaborato migliaia di anni fa, oggi concretizza la proposta, rivolta al Ministero della Salute, dell’istituzione della #Sconnessiday, un giorno di disconnessione dai dispositivi elettronici come terapia alla dipendenza da internet (nel 2018 celebrato il 22 febbraio).
Come saggiamente sostiene l’analista Evan DeFilippis, sebbene ormai tramite internet si possa accedere gratuitamente ad interi corsi universitari, la maggior parte degli utenti preferisce spendere il proprio tempo trascorso su internet in maniera ludica e superficiale. E il suo commento è piuttosto efficace: “Pensa a tutte le ore che hai buttato nel cesso davanti ad uno schermo, convincendo te stesso che avresti visto solo un altro video ancora, solo un’altra immagine ancora, solo una… e ricorda che questa è la tua vita. Il modo in cui spendi le tue giornate è il modo in cui spendi la tua vita”. La soluzione? Diventare persone migliori, piuttosto che creare siti internet migliori.
Anche per questo faccio il mio elogio dello Shabbat: ci costringe a fissare l’attenzione sulle relazioni umane reali, quelle faccia a faccia, e a diventare così uomini migliori che saranno capaci di utilizzare internet in una maniera più consona e costruttiva.
brava Shaz