Passato, presente e futuro del giornale torinese Ha Keillah nelle parole della sua direttrice
Ha Keillah è uno dei giornali storici dell’ebraismo italiano. Nato a Torino a metà degli anni settanta per iniziativa di un gruppo di giovani decisi a cambiare la gestione della comunità cittadina, compie oggi 46 anni. È un bimestrale che viene prodotto in forma cartacea, tutti i contenuti sono anche disponibili online. Abbiamo incontrato Anna Segre, attualmente alla direzione del giornale.
Tanto per cominciare, la domanda fondamentale. Che cos’è Ha Keillah?
È il bimestrale ebraico torinese organo del Gruppo di studi ebraici, quindi non della Comunità ebraica di Torino, che viene finanziato dagli iscritti al Gruppo, dalle offerte dei lettori e dalla pubblicità. Non prevede un abbonamento e viene mandato a chiunque ne faccia richiesta. Può essere letto online sul sito, che ospita tutti gli articoli usciti dal 2002 e i pdf dei numeri cartacei.
Quali le idee, le prospettive, il futuro del Gruppo di studi?
Il Gruppo di studi è nato nel 1968 per iniziativa di giovani che contestavano la conduzione comunitaria di allora e auspicavano una gestione più aperta, condivisa e anche progressista della comunità. Nel 1975 è stata fondata Ha Keillah e nel 1981 il Gruppo ha vinto le elezioni comunitarie, mantenendo la maggioranza fino al 2007. Oggi il Gruppo fa parte di Beiachad, una delle due liste che insieme gestiscono la comunità. Oltre all’impegno nell’amministrazione della comunità c’è sempre stato un impegno culturale con l’organizzazione di convegni e conferenze, in questo momento c’è un po’ di crisi di stanchezza perché il nucleo di base è composto da ottantenni e non c’è stato sufficiente ricambio, anche se le persone più giovani non mancano, in particolare nella redazione. Però non c’è stato un vero ricambio generazionale.
Quale ruolo gioca Ha Keillah all’interno della comunità ebraica di Torino e quale vorrebbe che giocasse all’interno dell’ebraismo italiano?
Pur non essendo giornale della comunità è l’unico giornale, perché la comunità invia solo un notiziario agli iscritti, quindi le pagine di Ha Keillah sono luogo di incontro per gli ebrei torinesi. Sul numero di dicembre abbiamo lanciato l’appello a detorinesizzarsi per farci conoscere all’esterno della realtà torinese e perché non ci sembra che esistano altri giornali ebraici in Italia che valorizzino per esempio opinioni critiche verso i recenti governi israeliani, opinioni per la pace che appartengono alla sinistra oggi minoritaria in Israele, e più in generale giornali nettamente schierati in senso progressista. Forse il ruolo di Ha Keillah è proprio questo. Quando dodici anni fa è nato Pagine ebraiche mi sono chiesta se tutto sommato Ha Keillah non fosse ormai superfluo. Se Pagine ebraiche fosse rimasto quello che era all’inizio, cioè un giornale in cui ci si poteva confrontare sulle idee di tutti, forse Ha Keillah sarebbe diventato effettivamente superfluo, ma non è andata così. Però la detorinesizzazione è in qualche modo un processo iniziato da tanti anni. Nei primi anni novanta era stato fatto un tentativo per mantenere contatti organici con il gruppo Martin Buber di Roma, con il risultato di uno scambio continuativo, però poi l’esperienza si è esaurita, anche se alcuni romani hanno continuato a collaborare. Oggi ci sono persone che ci seguono un po’ in tutta Italia e anche in Israele.
Il suo impegno: in quali circostanze, quando e come ha deciso di accettare la direzione del giornale? Come concilia questo impegno con il suo lavoro di insegnante di lettere in un liceo classico?
Undici anni fa c’è stata una scissione nel Gruppo di studi ebraici a causa di opinioni divergenti suscitate dalla revoca del rabbino capo. Il direttore e cinque redattori di allora hanno dato le dimissioni e tra chi era rimasto ero forse la persona con maggiore disponibilità e un minimo di esperienze, perché ero stata per un anno direttrice di Hatikwà. Sono diventata pubblicista per poter dirigere il giornale. L’impegno è grande, però Ha Keillah si appoggia su un’agenzia per la fotocomposizione fatta da professionisti che ci aiutano per la produzione della rivista cartacea. Era abbastanza conciliabile con l’attività di insegnante prima della didattica a distanza, in questo momento invece tutto è molto più faticoso.
A questo proposito, entriamo all’interno della fucina da cui nasce il giornale. Come funziona il lavoro della redazione? Come viene prodotto il giornale ogni due mesi?
Per ogni numero di solito facciamo tre riunioni. Tanti anni fa un redattore ha detto: “Noi facciamo riunioni in cui chiacchieriamo, mangiamo il gelato e poi, non si capisce come, ogni due mesi viene fuori un giornale”. Esagerava perché c’è del lavoro dietro, da quello dei professionisti a quello del direttore a quello di chi corregge le bozze, però è vero che su ogni numero pubblichiamo articoli anche molto diversi da quelli che avevamo pensato all’inizio. Siamo comunque aperti ai contributi che ci arrivano da chiunque su temi ebraici o Israele, quindi esiste un margine di casualità. Questa scarsa rigidità secondo me è un vantaggio perché ci permette di seguire temi che altri giornali ebraici non trattano.
Quali sono i temi che Ha Keillah considera più interessanti e su cui più spesso pubblica analisi e commenti oltre a Israele, di cui ha parlato prima?
Ci occupiamo della vita delle comunità ebraiche italiane e in particolare di quella di Torino, anche se in altri momenti più di oggi, forse perché negli ultimi anni non c’è più una situazione di battaglia tanto aspra. Ma siamo attenti anche alla società in generale, va detto che Ha Keillah è sempre stata molto critica nei confronti di Berlusconi e in guardia di fronte a partiti politici che in anni recenti hanno invece trovato sponde nell’ebraismo italiano per la loro almeno sbandierata amicizia verso Israele. Noi siamo stati e siamo critici perché riteniamo importante portare avanti un discorso di democrazia anche in Italia, perciò ci siamo occupati di argomenti presenti nel dibattito pubblico italiano come l’immigrazione. Sicuramente ci interessiamo di antisemitismo, di memoria e di storia dell’ebraismo piemontese, abbiamo inoltre da alcuni anni una rubrica con interviste a ebrei torinesi. Seguiamo anche la politica internazionale, in particolare quando riusciamo a trovare corrispondenti sul posto negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito e altrove.
Sfogliando l’ultimo numero mi colpisce da una parte lo spazio destinato agli approfondimenti culturali e alle recensioni di libri, dall’altra i disegni e le vignette che impreziosiscono tante pagine.
Sì, le recensioni sono numerose su ogni numero però ovviamente non riusciamo a seguire tutte le novità di giudaica, quindi abbiamo inaugurato una collaborazione con la biblioteca della comunità ebraica di Torino per cui presentiamo con brevi schede molti dei libri acquisiti dalla biblioteca ogni mese: il risultato è una panoramica delle novità. Siamo grati a Stefano Levi Della Torre per i suoi disegni su temi biblici che illustrano tutte le nostre prime pagine. E abbiamo anche le vignette di David Terracini.
In una fase storica in cui il confronto e l’arricchimento, anche negli ambienti ebraici, vengono sempre più spesso sostituiti dall’identitarismo, cioè non l’identità ma il culto autoreferenziale della propria identità, Ha Keillah sembra mantenere con fermezza non comune una linea di apertura e pluralità. Penso alla discussione sugli ebraismi, con la i finale, che non pretende di esaurire l’ebraismo a un unico modello, ma ammette una molteplicità di atteggiamenti, modi di fare, tradizioni e sensibilità. Penso allo spazio in cui sono state accolte le istanze delle comunità ebraiche riformate e di quella Lgbt, ma anche agli interventi polemici ma significativi del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni.
È vero, anche se va detto che una caratteristica del Gruppo di studi ebraici di Torino rispetto ad altri gruppi progressisti in Italia è che ne hanno sempre fatto parte anche ebrei osservanti, con una notevole varietà di punti di vista e i cui effetti sono visibili. Su Ha Keillah abbiamo ospitato più volte molti rabbini capo di Torino come rav Somekh, rav Birnbaum, rav Di Porto e occasionalmente altri rabbini come Di Segni, ma anche Cipriani. Abbiamo ospitato anche posizioni diverse, dando conto degli ebraismi non ortodossi che ci sono in Italia in questo momento, senza per forza essere sempre tutti d’accordo e anche con opinioni diverse all’interno della redazione. I redattori di Ha Keillah sono iscritti alla comunità di Torino, che è ortodossa, tuttavia cerchiamo di dare spazio alle opinioni di tutti.
Chi sono i lettori di Ha Keillah? Dove vivono e come si collocano politicamente e ebraicamente?
Ha Keillah inizialmente era rivolto agli ebrei torinesi, che ancora adesso rappresentano un nucleo di lettori consistente. Poi ci sono ebrei che vivono in tutta Italia che ci chiedono di riceverlo. Lo stesso vale per Israele, dove abbiamo alcune centinaia di lettori. Esiste infine una fascia di lettori per lo più torinesi non ebrei.
Quale futuro vede per il giornale?
Mi piacerebbe che nel giro di pochi anni passasse a una nuova generazione, quella dei ventenni e trentenni di adesso. Credo che sia l’unico modo per sopravvivere. A Torino c’è un gruppo di giovani capaci, vorrei che fossero loro a continuare, e comunque non vedo alternative ragionevoli a questo. È cosa su cui ci stiamo sforzando, una sfida difficile ma dall’esito non irrealistico.