Ovvero, mai adagiarsi sugli allori della propria cattiveria… Un ritratto del malvagio consigliere tra ironia e fortuna
Il castigo che colpisce Agag, re di Amalek sconfitto ma risparmiato da Saul, secondo una tradizione arriva troppo tardi. Samuele uccide Agag, come racconta il primo libro che porta il nome del profeta, ma per il midrash l’amalecita nel frattempo, cioè nel breve periodo di prigionia, ha dato origine a una discendenza: quella degli antenati di Aman. Per aver risparmiato il prigioniero dunque Saul è colpevole. Inoltre se Aman discende da Agag e Agag, in quanto re di Amalek, discende da Esaù, ecco che abbiamo la genealogia del malvagio del libro di Ester letto ogni anno a Purim – con tanto di strepito e baccano a ogni occorrenza del suo nome.
Come al solito il midrash complica, mescola e arricchisce le vicende bibliche. Secondo la raccolta Ester Rabbah Aman comincia a tramare contro gli ebrei fin dal tempo dei festeggiamenti a Susa (quelli durante i quali la regina Vashtì rifiuta di piegarsi ai dettami del marito). E lo fa in modo quanto mai subdolo. Un giorno Aman consiglia il re Assuero di sterminare il popolo di Israele perché è “un popolo particolare”. “Ho timore del dio di questo popolo”, risponde Assuero, “perché so quello che è capitato al Faraone in Egitto per averlo reso schiavo”. Assuero non brilla certo per alti valori e neanche per intelligenza, ma almeno in questo caso si dimostra realista. Però Aman insiste e prepara la prima insidia: “Il loro dio detesta la vita dissoluta. Organizza dunque grandi festeggiamenti e ordina ai figli di Israele di prendere parte ai banchetti, falli mangiare e bere in modo che scatenino gli istinti. In questo modo il loro dio si arrabbierà con loro”. Si tratta insomma di allestire una specie di pinocchiesco paese dei balocchi perché gli ebrei si lascino andare dimenticando legge e morigeratezza e vengano perciò puniti da Dio. Ma Aman fa i conti senza l’oste, cioè senza Mordechai, che con utili consigli invita gli ebrei a lasciare Susa, non prendere parte ai bagordi e, nel caso di personalità in vista che proprio non possono fare a meno di presenziare, portarsi da casa il pranzo al sacco (utile a risolvere anche il problema della kasherut) e evitare le abbuffate.
Per il midrash Aman è l’uomo più ricco mai vissuto sulla faccia della terra perché si è impossessato dei tesori del Tempio di Gerusalemme dopo la sua distruzione. Il midrash intravede un disegno divino in quasi ogni dettaglio della meghillà di Ester, a cominciare dalla nomina a primo ministro del malvagio antisemita. Aman viene innalzato perché poi cada e i suoi beni vadano a Mordechai, che li utilizzerà per riedificare il Tempio dopo il ritorno degli esuli. Aman, inoltre, è ostile non soltanto nei confronti degli ebrei e di Mordechai, ma anche della regina Vashtì, secondo alcuni a causa del mancato invito da parte di lei alla moglie di lui durante il banchetto delle donne, organizzato contemporaneamente a quello di Assuero per gli uomini. Soprattutto, Aman vuole che Vashtì sia ripudiata per fare sposare la propria figlia al re. Subisce quindi un duro colpo quando Ester diventa regina. Ma Aman, instancabile nell’ordire trame abominevoli, non si perde d’animo e in un primo momento cerca di conquistare la fiducia di Ester, dichiarandosi addirittura suo parente attraverso il legame tra i due fratelli Esaù e Giacobbe.
Aman è naturalmente un idolatra inveterato. Convinto il re a imporre a ogni suddito di prostrarsi di fronte a lui, per accentuare il carattere idolatrico del tributo alla propria persona appende alla veste l’immagine di un idolo in modo che chi si inchina adori automaticamente anche quello. Come noto dal testo della meghillà di Ester, l’unico in tutto il regno a non piegarsi è Mordechai. Mordechai e Aman sono molto diversi ma anche simili nella misura in cui rappresentano personaggi tutti d’un pezzo, convinti delle proprie ragioni e non disposti a compromessi in una storia dove invece compromessi e anime grigie abbondano, da Assuero, superficiale e sostanzialmente stupido, a Ester che vive nel nascondimento prima di prendere in mano la situazione nel momento decisivo, alla comunità degli ebrei che implora Mordechai di cedere a Aman per evitare guai peggiori. Secondo alcuni midrashim Mordechai è tanto inflessibile e sfacciato da contribuire all’esplosione dell’odio di Aman. In questi racconti vediamo Aman che sulle prime cerca di ingraziarsi Mordechai fingendo di non aver visto il suo rifiuto a prostrarsi e addirittura salutandolo con parole gentili: “La pace sia con te, mio signore”. Al che Mordechai ribatte fulmineo: “Non c’è pace per i malvagi, dice il mio Signore!”.
Aman a quanto pare è anche un grande astrologo. Medita allora a lungo sul giorno e il mese propizio per organizzare non solo l’uccisione di Mordechai, ma lo sterminio dell’intero popolo ebraico. Dopo aver consultato i dodici segni zodiacali sceglie la costellazione dei pesci e il mese di Adar. Ignora però che Adar è il mese in cui nacque Mosè, dunque favorevole agli ebrei, e soprattutto fraintende il detto secondo cui verranno divorati come pesci. Allora, proprio nel momento in cui Aman tira le sorti, Dio gli dice: “Quello che le sorti ti hanno mostrato – e cioè che i pesci sarebbero stati divorati – è il tuo, di destino: finirai appeso”. Nel Targum Ester la voce dal cielo si rivolge anche al popolo di Israele raggelato dal terrore: “Non temere, comunità di Israele. Se ti ravvedi e torni a Dio, la sorte cadrà su Aman invece che su di te”. Come nelle fiabe dei fratelli Grimm la trama ordita dal malvagio gli si ritorce contro decretandone la fine.
Alcuni midrashim e targumim (questi secondi, traduzioni aramaiche dei libri biblici estremamente libere, spesso con ampie parafrasi e inserti) si dilungano sull’atto di accusa con cui Aman spiega al re Assuero – al solito non brillantissimo – tutte le caratteristiche di quel popolo tanto particolare da dover essere spazzato via dalla faccia della terra. È in realtà una straordinaria occasione per ricapitolare usi, tradizioni e feste ebraiche. Al termine dell’arringa interviene nuovamente Dio: “Sei stato bravo, Aman, a elencare tutte le feste degli ebrei, ma ne hai dimenticate due: Purim e Purim Shushan [che cade il giorno dopo Purim], che gli ebrei celebreranno per ricordare la tua fine”. Assuero ha ancora qualche dubbio sull’opportunità della strage non per la cosa in sé – su questo neanche si pone il problema, o più probabilmente non ci arriva – ma perché si ricorda del Faraone, colpito da così tante piaghe per essersi opposto alla liberazione degli ebrei dall’Egitto. Tuttavia alla fine cede alle parole di Aman. “Non c’è nulla da temere”, dice il malvagio consigliere, “quel dio che ha affogato il Faraone nel mare e ha fatto miracoli e prodigi è ormai anziano, non vede più bene e non è quindi in grado di proteggere il suo popolo”. Come prova della senescenza e del silenzio di Dio Aman porta la distruzione di Gerusalemme e del Tempio. Assuero firma gozzovigliando.
Non possiamo seguire Aman in tutte le insidie che ordisce secondo il midrash, e che falliscono regolarmente proprio come le trappole organizzate da Tom contro Jerry o da Willy il Coyote contro Beep Beep. Basti dire che sono molte, inclusa la nuova legge che mette a morte chiunque si presenti al cospetto del re senza essere stato convocato che verrà sfidata da Ester. Ma il midrash non si limita a condannare Aman, lo deride anche, per esempio nel racconto che riferisce del primo ministro del re, furente con Mordechai che per l’ennesima volta gli è passato davanti senza inchinarsi, che corre a casa, arrivandoci a un’ora insolita. La moglie però non c’è perché “come sempre faceva quando Aman era a corte, era andata a trovare i suoi amanti”. Aman non la prende benissimo, possiamo immaginare, però alla fine i due si riconciliano ed è anzi la moglie a suggerirgli la sorte da riservare a Mordechai: la crocifissione. Quando i falegnami hanno terminato di edificare la croce, Aman la prova di persona per controllare che sia tutto a posto. La solita voce dal cielo tuona: “È perfetta”.
Segue la notte agitata del re, che si fa leggere gli annali e scopre di dovere la vita a Mordechai. Le quotazioni dell’inadeguato monarca agli occhi dei lettori salgono sensibilmente. Aman secondo il midrash ambisce a diventare lui stesso re, deve invece subire l’umiliazione di condurre in trionfo l’arcinemico. Racconta la Aggadat Ester che dopo aver cercato in tutti i modi di far cambiare idea ad Assuero, che però questa volta non cede, Aman si reca alla stanza del tesoro di corte a testa bassa, “come persona in lutto, con le orecchie piegate, gli occhi spenti, una smorfia sulle labbra, il cuore pesante, le viscere attorcigliate, i lombi fiacchi e le ginocchia tremolanti”. Qui prende le insegne reali e va da Mordechai, lo trova debole dopo tre giorni di digiuno e di conseguenza è costretto ad aiutarlo a montare a cavallo facendogli da poggiapiedi – e per sovrammercato beccandosi un calcio in faccia. Quando poco dopo il corteo passa sotto casa di Aman la figlia – la stessa che il ministro avrebbe voluto far sposare al re – pensa che il padre sia l’uomo a cavallo e Mordechai quello a piedi, apre la finestra e versa in testa all’appiedato una scodella di frattaglie. Resasi conto dello sbaglio, si getta in strada morendo sul colpo. I Pirqè di rabbi Eliezer riferiscono che il Signore invia l’arcangelo Michele travestito da figlio di Aman ad abbattere uno a uno i magnifici alberi del parco reale, suscitando l’indignazione di Assuero. Il re ormai è deciso a sbarazzarsi del primo ministro e il compito di crocifiggere Aman viene dato a Mordechai. Il cerchio si chiude. Il Targum Ester specifica che Aman muore appeso a due pali di legno come i criminali comuni: anche la sua ultima supplica di essere giustiziato a colpi di spada come si addice alle persone di rango non viene soddisfatta. In alcune fonti, come il Midrash Goryon, segue il dialogo tra gli alberi su chi dovrà dare il proprio legno per la croce di Aman. A spuntarla è il rovo “perché gli empi sono come rovi spinosi” – e pazienza se la leggenda contraddice il fatto che la croce era stata eretta originariamente per Mordechai. La croce è comunque grande a sufficienza per appendere non solo Aman, ma anche i suoi figli (il cui numero varia in quasi ogni versione della storia da un minimo di dieci a un massimo di centootto). Un racconto riferisce invece che i figli di Aman diventano mendicanti.
Eppure anche da Aman il malvagio può derivare qualcosa di buono, a conferma del principio secondo cui i figli non sono responsabili delle malefatte dei genitori. Stando al Talmud alcuni dei suoi discendenti vissero e insegnarono la Torà a Benè Beraq, la stessa città in cui rabbi Aqivà aveva la sua scuola, e poiché secondo una leggenda Aqivà discendeva da convertiti c’è chi ha ipotizzato che fosse proprio il famoso rabbino torturato e ucciso dai romani al tempo dell’imperatore Adriano ad avere il crudele Aman nel suo albero genealogico.