Se il calssico di questa festa sono i dolci, questa volta ci spostaiamo su ricette di piatti salati. Senza fare a meno della frittura, naturalmente!
Ci sono dei vantaggi nell’essere delle feste minori. Azzardando un paragone con la vita di famiglia, sono un po’ come i figli più giovani, che tradizionalmente sfuggivano alla rigidità dell’educazione imposta ai primogeniti. A Hanukkah è andata più o meno così. Festività giunta in un secondo tempo rispetto ad altre più importanti e conosciute, è tra quelle che non trovano riscontro nella Torah, ma solo nel Talmud. Legata a un evento risalente al 164 a.C., la ridedicazione del Tempio di Gerusalemme dopo che le forze siriane guidate dall’imperatore Antioco lo avevano profanato e saccheggiato, fa riferimento come tutti sanno, al miracolo dell’olio.
Rimasto disponibile in quantità tanto esigua da non consentire l’accensione dei bracci della menorah che per un solo giorno, prodigiosamente l’olio rituale aveva finito per ardere per ben otto giorni. Oggi quei giorni, che quest’anno cadono tra il 7 e il 15 dicembre, sono l’occasione per ricordare la vittoria degli ebrei guidati dai Maccabei sull’esercito nemico facendo festa principalmente a tavola. Una tavola che, forse anche grazie a quella faccenda del figlio minore, sguscia via dalla severità dei precetti, non vieta né impone nulla e, compatibilmente con la kasherut, lascia i cuochi liberi di sbizzarrirsi ai fornelli. Stuzzicata dall’elemento inizialmente non alimentare dell’olio, la tradizione ha sviluppato una vasta gamma di ricette che hanno questo ingrediente come protagonista, più come mezzo di cottura che come condimento. E se i fritti sono diventati il pezzo forte della festa, quelli dolci si sono affermati come una trasgressione alla seconda potenza, con le sufganiyot dominanti presso gli ashkenaziti e i bimuelos tra i sefarditi.
Non si vive però di soli zuccheri. E a chi obietta che ci sono pur sempre i latkes (o levivot) a tenere alta la bandiera del salato, possiamo rispondere che qualche sperimentazione, di tanto in tanto, non può guastare. Tanto più quando non ci sono particolari codici da rispettare. Semmai, si può approfittare della parte apocrifa del racconto, quella che, facendo confusione di qualche centinaio di anni, ambienta la vicenda di Giuditta e Oloferne nella stessa epoca della distruzione del Tempio e non, come sarebbe giusto, sotto il regno di Nabucodonosor.
Si racconta che l’eroina ebrea avesse rimpinzato il nemico che assediava il suo villaggio con formaggi per fargli venire sete e quindi, dopo averlo ubriacato, lo avesse ucciso. Oggi di quella vicenda avvenuta quattro secoli prima rispetto al miracolo dell’olio è rimasta l’abitudine di consumare latticini. Ma, anche in questo caso, non c’è nulla di forzato. In mezzo a tanta libertà viene voglia di vedere come se la siano cavata nei secoli gli ebrei della diaspora, in particolare a partire dal XIV secolo, momento nel quale si è iniziato a festeggiare Hanukkah con riferimento alla storia di Giuditta e quindi con lo spunto in più dei formaggi. Ben prima che i latkes si imponessero sulla scena gastronomica, le frittelle tipiche di questa festa erano infatti a base di farina e formaggio. Da una parte le patate non erano ancora arrivate dalle Americhe, dall’altra i latticini erano visti come l’ingrediente più adatto a onorare il ricordo dell’intrepida Giuditta.
C’era poi un terzo ingrediente che, ispirati alle note vicende, si tendeva a inserire nei pasti di festa. Parliamo della carne, in particolare quella di oca, anatra o colombo. Come racconta Gill Marks nell’Encyclopedia of Jewish Food, in alcune zone della diaspora anche questo ingrediente era diventato piatto tradizionale di Hanukkah. Piatti fritti o al forno avevano un ripieno di carne in ricordo, si diceva, delle pietanze servite durante il banchetto che festeggiava la vittoria dei Maccabei. In Siria e Uzbekistan la carne veniva ricoperta con una crosta simile alla matzah, mentre alcuni ebrei dell’est europeo la aggiungevano al ripieno delle loro frittelle. In particolare, pare che già nell’XII secolo presso le famiglie ashkenazite per Hanukkah si consumassero i volatili indicati. Secondo lo storico americano, motivo di questa predilezione è che nel periodo di Hanukkah, a ridosso con l’inizio dell’inverno, ci fosse maggiore disponibilità di tali prodotti. Molti animali non più in grado di riprodursi rappresentavano infatti una spesa di gestione troppo alta: meglio abbatterli e approfittarne per arricchire la tavola della festa.
Alla luce di quanto detto, un piatto salato per Hanukkah alternativo alle frittelle di patate non è troppo difficile da trovare. Né da preparare. Partendo proprio dal concetto del latke si potrà ad esempio sostituire i tuberi con altre radici o verdure e, muovendosi più o meno come noto, realizzare delle sfiziosissime polpette fritte. Restando nel vastissimo campo della tradizione ebraica, ma spostandosi dalla cultura ashkenazita a quella sefardita vi si troveranno innumerevoli versioni delle albondigas, le polpette.
Preparate generalmente di carne, con la possibilità di sostituirla in parte o del tutto con le verdure, queste palline fritte ed eventualmente poi stufate in salsa hanno subito diverse trasformazioni nel passaggio alle terre mediorientali. Lasciata la Penisola Iberica, gli ebrei che entrarono in contatto con gli Ottomani ve ne trovarono una particolare versione, qui chiamata kufta. Adattandone sia il nome sia la forma, diedero origine a un terzo tipo di preparazione, a metà strada tra quanto portavano con sé e quello che trovarono. Le kefte, questo il nome del nuovo tipo di polpetta, potevano essere sia di carne sia di verdure, adattandosi così alla disponibilità stagionale come a quella economica. Perfette per riciclare gli avanzi, anziché essere rotonde assumevano una forma ovale leggermente schiacciata dalle estremità affusolate. Fritte, e quindi ideali per Hanukkah, potevano essere servite sia come antipasto sia come piatto principale, a seconda degli ingredienti usati. Nel caso delle verdure, vale la pena di sperimentare le keftes (o fritas) de prassa, a base di porri, il cui gusto dolce si adatta a meraviglia sia in abbinamento alle patate della versione vegetale sia alla carne macinata.
Sempre carne e verdura sono protagoniste anche di un altro tipo di frittelle particolarmente adatte per Hanukkah, le Ijeh B’Lahmeh. Indicate come la risposta siriana ai latkes, possono essere considerate anche come la variante non vegetariana dei felafel, vista la loro adattabilità nelle pita e come street food in genere. Preparate con carne macinata, erbe miste, cipolle, matzah macinata o pangrattato e uova, rispetto alle frittelle di patate hanno il vantaggio di poter essere preparate in anticipo ed essere poi gustate a temperatura ambiente.
Allargando il campo di indagine entriamo nel vasto territorio dell’ijeh, ossia delle frittatine dalla crosticina dorata tanto amate in tutto il Medio Oriente. A differenza delle preparazioni all’europea, specialmente francese, dove l’uovo è preminente, spostandosi verso l’Asia si rileva una predominanza degli altri ingredienti, verdure, formaggi o carni. A questi è unito in genere anche del pangrattato, della farina o della matzah macinata che conferisce al composto una consistenza più piena e compatta. Per Hanukkah, in particolare, gli ebrei mediorientali ne preparano tradizionalmente una versione al formaggio, la edjeh bi jiben.
Se polpette, frittelle e frittate non bastassero a celebrare la festa con la sua giusta dose di olio, si può riportare lo sguardo all’Occidente, prima all’Europa e poi all’America. È infatti negli Stati Uniti che il cosiddetto “pollo fritto per Chanukkah” (scritto così, in italiano) riscuote il successo maggiore. In Italia, dove gli autori culinari d’Oltreoceano ne collocano i natali, questa pietanza è sì apprezzata ma il riferimento agli ebrei è a dir poco sfumato. Al contrario, autorità in materia quali le storiche del cibo Claudia Roden e Joyce Goldstein ne parlano come di un piatto ebraico. Roden, autrice di The Book of Jewish Food, nel suo testo fa riferimento esplicitamente alla Toscana e dice che questo modo di pastellare e friggere il pollo tagliato a piccoli pezzi sia passato dall’essere una specialità regionale a una pietanza tipica di Hanukkah. Da parte sua Goldstein attribuisce sempre agli italiani la creazione di questa pietanza, ma ritenendo la ricetta originale piuttosto insipida, nel suo The New Mediterranean Jewish Table preferisce aggiungere al procedimento anche una salamoia preparata con acqua, limoni, erbe, spezie, aglio, zucchero e sale. Entrambe le gastronome indicano il doppio passaggio nella farina e nelle uova (ed eventualmente ancora nella farina o nel pangrattato) seguito poi dalla frittura nell’olio caldo.
Comunque siano andate le cose, è un fatto che questa ricetta compaia fin ne La scienza in cucina di Pellegrino Artusi, che la indica però come “pollo dorato” e non fa riferimento né agli ebrei né alla Toscana, dove pure è effettivamente nata. Per quanto riguarda il suo successo presso gli ebrei americani, non è difficile spiegarsene il motivo. Perfetto per Hanukkah così come per qualsiasi occasione in cui si decida di trasgredire alle regole salutiste, è l’ennesimo esempio di un piatto che ha viaggiato molto. E che, strada facendo, non ha solo acquisito qualche ingrediente in più, ma soprattutto si è adattato ai gusti e alle esigenze del popolo che ha saputo farlo suo.
Ijeh B’Lahmeh
Ingredienti:
4 uova
1 cipolla grande
2 cucchiai di farina di matzah (o pangrattato)
1 mazzo di prezzemolo
1 mazzo di coriandolo
½ mazzo di menta
3-4 scalogni
300 g di carne macinata di manzo o agnello (o un mix delle due)
2-3 cucchiai di pinoli
olio per friggere
sale
pepe in grani
Sbucciare la cipolla e gli scalogni, affettarli e metterli nel bicchiere del mixer con le foglie di prezzemolo, coriandolo e menta, le uova e la farina (o pangrattato). Frullare velocemente, poi trasferire in una larga ciotola e unirvi la carne e i pinoli, insaporire con una presa di sale e una macinata di pepe e mescolare.
Prelevare il composto in piccole quantità e modellare delle polpettine schiacciate usando le mani inumidite. Scaldare qualche dito di olio in una padella a sponde alte e friggervi le polpettine, poche alla volta e dorandole su entrambi i lati. Scolarle su carta da cucina e servirle subito o a temperatura ambiente, eventualmente in un panino accompagnate da cipolla, erbe aromatiche e tahini.
Pollo fritto
Ingredienti:
1 pollo intero
Per marinare:
1 limone grande
1-2 spicchi d’aglio
sale
pepe
noce moscata
olio extravergine d’oliva
Per friggere:
3 uova
farina
olio d’oliva
Tagliare il pollo in 10 pezzi, metterli in una ciotola capiente e unirvi il succo spremuto del limone, una presa di sale, una spolverizzata di pepe, l’aglio sbucciato e tritato finemente, una grattugiata di noce moscata e qualche cucchiaio di olio. Lasciarlo marinare in frigo per una notte.
Il giorno dopo, togliere il pollo dal frigo con 1 ora di anticipo, poi scaldare abbondante olio in una larga padella a sponde alte. Prelevare un pezzo di pollo alla volta e passarli prima nella farina e quindi nelle uova sbattute. Scolarli e tuffarli subito nell’olio caldo ma non fumante.
Friggere il pollo a fuoco moderato fino a quando i pezzi saranno dorati su tutti i lati. Scolarli su carta da cucina e tendere da parte in caldo fino a quando saranno tutti pronti da servire.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.