Cultura
Tamara Moyal: «Il “mio” Herzl è diventato il logo della difesa della democrazia in Israele»

Intervista alla designer e grafica che ha disegnato la prima silhouette di Herzl diventata un simbolo nelle manifestazioni di pazza di queste settimane

Lo rotzim, lo zarich: «Se non volete, non serve». Queste parole, scritte in ebraico sotto la silhouette di Theodor Herzl – il grande visionario dello Stato di Israele – avevano segnato i muri di Tel Aviv per la prima volta nel 2009, quando Benjamin Netanyahu, leader del Likud, pur essendo arrivato secondo alla tornata elettorale, era riuscito a soppiantare il primo partito, Kadima, allora guidato da Tzipi Livni, e a creare quell’alleanza governativa di destra che, da allora, non ha fatto che espandersi sempre più. Fino ai nostri giorni, con la riforma proposta dal neo-ministro della Giustizia Yariv Levin, che vorrebbe delegittimare l’autorità della Corte Suprema, nonché mettere a rischio le sorti della democrazia israeliana.

Non sorprende dunque che, proprio in queste settimane, in cui ogni sabato un fetta sempre più numerosa e trasversale della popolazione israeliana scende in strada, nelle principiali piazze di Israele, la citazione di Herzl  “rivisitata”, sia tornata in auge. Sui cartelli, sulle magliette, ma anche nei social e sui giornali. Tamara Moyal, 42 anni, laureata in Design presso il celebre Shenkar Institute di Tel Aviv, da anni brand manager per alcuni dei più prestigiosi marchi israeliani, quando ha disegnato la prima silhouette di Herzl, subito dopo gli studi, non avrebbe mai potuto immaginare che un giorno questa icona sarebbe diventato il “logo” della difesa della democrazia in Israele.

Essendo l’arte di strada copyright free per definizione, negli ultimi quattordici il “suo” Herzl è stato stampato su borse, magliette e gadget per turisti che si possono, ancora oggi, acquistare allo Shuk ha Carmel di Tel Aviv, città in cui affonda le sue radici la storia dello stesso Herzl.

“Tel Aviv”, infatti, significa letteralmente “collina della primavera” (Ezechiele, 3:15), ma dal punto di vista simbolico rappresenta soprattutto il luogo d’incontro tra l’antico – tel, la collina biblica, costruita sulle macerie, e il moderno, aviv, la primavera, che è simbolo anche di cambiamento e rinnovamento sociale e politico, quello immaginato da Theodor Herzl, il visionario ideatore dello Stato di Israele, che nel 1902 ha pubblicato un’opera rivoluzionaria, scritta in tedesco, sua lingua madre, e intitolata Altneuland, letteralmente “l’antica nuova terra”.

In questo saggio quasi premonitore, il padre del sionismo moderno illustrava con afflato pionieristico la sua visione politica laica e democratica di uno Stato per il popolo ebraico nella Terra di Israele, sottolineando il valore irrinunciabile di una società aperta, “fondata sull’idea che noi siamo il prodotto comune di tutte le nazioni civilizzate: sarebbe immorale se mai decidessimo di escludere qualcuno da questo progetto, a prescindere dalle proprie origini, opinioni e credenze politiche o religiose. C’è un unico modo per farlo: la più totale tolleranza”.

Oggi, in Israele, questo ruolo è svolto in modo esemplare da Tel Aviv, che ancora non esisteva, quando nel 1902 Nahum Sokolov, uno dei più illustri leader sionisti del diciannovesimo secolo, tradusse in ebraico il manifesto di Herzl, intitolandolo “Tel Aviv”. È estremamente significativo che proprio il titolo di questo saggio sia diventato fonte d’ispirazione, nel 1909, per dare il nome alla prima “città ebraica” radicalmente laica e, in quanto tale, contrapposta alla “giudaica” Gerusalemme.

Proprio in quest’opera Herzl esprime per la prima volta la sua visione e il suo motto sionista: im tirzu, ein zo agadah, la cui traduzione letterale sarebbe: «se lo volete, non sarà (solo) una leggenda». 

«Ci stiamo distruggendo con le nostre stesse mani» spiega a malincuore Tamara Moyal. «L’idea di parafrasare Herzl con il motto distopico lo rotzim, lo zarich: “se non volete, (allora) non serve” era venuta mio fratello nel 2009, a pochi giorni dal giuramento dell’allora primo  governo Netanyahu che, per Dror, da sempre più politicamente coinvolto di me, rappresentava la fine del sionismo patriottico. Io, allora, ascoltando le sue parole, avevo disegnato il logo, con un Herzl facilmente riconoscibile per via della sua barba lunga (ancora oggi icona degli hipster israeliani) ma dallo sguardo più cupo, deluso, di chi osserva con amarezza cosa sta accadendo al suo sogno. Poi avevo preparato lo stencil con cui mio fratello, armato di bomboletta spray e scooter, ha cominciato a dipingere inizialmente le strade di Tel Aviv, per poi farlo diventare un fenomeno nazionale. Allora però non c’era ancora Instagram e i social non erano virali come oggi, che hanno permesso al mio Herzl di tornare in auge, fino permettere di scoprire la mia identità».

Quando le ho chiesto cosa è cambiato da quando è stata “scoperta”, la giovane designer, che nel frattempo è diventata anche madre di Eli , Tamara ha risposto: «Mi sono sentita improvvisamente madre di due figli. Eli, che ha appena compiuto 7 anni, e Herzl, che ne ha appena compiuti 14, ed è ancora presente tra le strade di Tel Aviv, quasi a farci da monito, a ricordarci quanto prezioso sia il valore della democrazia che non deve mai essere data per scontata, dopo l’immenso lavoro che hanno fatto i padri fondatori di Israele, se vogliamo consegnare lo stesso Paese nelle mani dei nostri figli».

Proprio in questi giorni, Tamara sta lavorando ad una nuova serie con alcuni dei più grandi statisti israeliani: da David Ben Gurion, primo premier israeliano, a Menachem Begin, fondatore del Likud «quando era ancora il partito dei veri likudnikim, patriottici, e non quelli di Netanyahu, senza più alcun’ideologia, se non quella del potere. Per trovare le citazioni mi sono messa a ri-studiare la storia di Israele. La ricerca non finisce mai. Forse solo rieleggendo attentamente la storia del nostro Paese» conclude Tamara «potremo ritrovare gli strumenti per proteggerlo e salvaguardarlo».

 

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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