Cultura
“The Jewish Matchmaking”, lo shidduch di oggi in una serie Netflix

Combinare i matrimoni nell’ebraismo è una pratica antichissima, addirittura biblica. Nei secoli si è adattato ai nuovi stili di vita, fino a quello attuale, online e inclusivo, narrato – da una vera matchmacking – in una serie girata tra Israele e gli Stati Uniti

Dopo il grande successo internazionale di The Indian Matchmaking, Netflix ha deciso di ampliare il proprio sguardo su una comunità in cui lo shidduch fa parte integrante della storia del suo popolo: The Jewish Matchmaking. Online dallo scorso 3 maggio, questa serie racconta la storia di un gruppo di ebrei single, che vivono tra Stati Uniti e Israele, che decidono di affidare la propria vita sentimentale ad Aleeza Ben Shalom, celebre matchmaking israelo-americana.
Come lei stessa racconta durante il pilot, l’uso della pratica tradizionale degli shidduchim risale ai tempi biblici. Il primo shidduch descritto nella Torah fu il matrimonio che Eliezer, servitore di Abramo, organizza per Isacco, figlio del suo padrone. Secondo le scritture (Genesi cap. 24), Abramo gli diede istruzioni specifiche per scegliere una donna della sua tribù. Così Eliezer, dopo aver pregato per trovare una donna virtuosa, incontra lungo la strada Rebecca, che appare sulla scena compiendo tutto quanto descritto nella preghiera di Eliezer, il quale si reca presso la sua famiglia chiedendo loro il permesso di portarla con sé come sposa ad Isacco. Prima di accettare, i genitori di Rebecca rispondono dicendo: “Chiediamo prima alla fanciulla”. Questa indicazione, ancora oggi, è considerata un’istruzione cruciale per soppesare l’opinione dei propri figli prima di portare avanti un matrimonio combinato, come quello tra Rebecca e Isacco.
Come la storia di Eliezer, anche la storia della stessa matchmaker, Aleeza Ben Shalom, è di per sé affascinante: “Quando descrivo il mio rapporto con l’ebraismo dico sempre che sono nata ebrea ma sono cresciuta riscoprendo solo da adulta il mio legame con il giudaismo”. Originaria di Philadelphia, Aleeza, è cresciuta in una famiglia laica e, solo da adolescente, ha cominciato a frequentare Israele durante i campi estivi. Ma qualcosa, nel suo profondo, la spingeva a incorporare sempre di più sia la spiritualità che l’osservanza religiosa tradizionale, all’interno della sua vita quotidiana: “Ho scoperto di amare il giudaismo, ma di non viverlo appieno, perché tutte le pratiche che esercitavano gli osservanti io non le rispettavo, semplicemente, perché non ci ero cresciuta”. Quindi, da sola, ha cominciato il suo percorso spirituale: dalle lezioni sullo Shabbat e la kosherut, agli studi sul potere della preghiera e del vestirsi con modestia: “Più studiavo, più imparavo ad amare il giudaismo. Ma quando lo ami e lo vivi nella pratica quotidiana, allora inizi ad essere chiamato ‘ortodosso'”.
Dopo il college, a 25 anni, incontra il suo attuale marito, anch’egli diventato osservant attraverso un suo proprio percorso. Dopo essersi trasferita con lui in Israele, a Pared Hanna – Karkur, e aver messo su famiglia – ora hanno cinque figli – Aleeza ha scoperto anche le sue incredibili doti da matchmaker, e non solo: “Col tempo mi sono resa conto che stavo diventando anche una spiritual coach, un elemento di sostegno. Il matchmaking online mi ha portato in modo organico al processo di coaching e mentoring, e le persone, col tempo, hanno imparato a conoscermi e a fidarsi di me”Ora è conosciuta in tutto il mondo come la “guru” del matchmaking, con oltre 200 matrimoni al suo attivo.

Si è rivelata anche una conduttrice affabile, esperta tanto di romanticismo quanto di ebraismo: “Ci sono 15 milioni di ebrei nel mondo e 15 milioni di modi di essere ebrei”, dichiara durante il primo episodio.
Questa interessante serie televisiva, dunque – aldilà del lato mondano – offre anche un affascinante spaccato sulla diaspora ebraica e le sue diverse tradizioni, a seconda dei luoghi in cui i protagonisti sono stati seguiti dalla telecamera, dei diversi gradi di religiosità – dai laici agli ortodossi, con tutte le sfumature nel mezzo – dei giovani e dei non più giovani (i partecipanti sono di un età compresa tra i 25 e i 50 anni) dispersi tra Israele e Stati Uniti, tra Miami, Los Angeles, New York, Chicago, Wyoming, Kansas.

Noah e Tav – Courtesy of Netflix

Tra gli otto partecipanti abbiamo incontrato Noah Del Monte – 25 anni, italiano,  da due anni in Israele – che ci ha raccontato la sua esperienza personale, sia come candidato in cerca di amore, sia come parte del cast di questa produzione Netflix.

Come è cominciato il processo di reclutamento?
Mi hanno contattato a dicembre 2021 da una casting house, dicendomi che cercavano degli ebrei single per una serie Netflix. Io ho partecipato al primo provino via zoom, perplesso, ma dopo due meeting con la casting house ho iniziato a capire il senso profondo di questo progetto. Per cui sono continuati gli zoom con i produttori, un test psicologico con 916 domande multiple, un colloquio con uno psicologo che mi ha seguito per altri tre mesi e, infine, l’ultimo colloquio con il producer, dopo il quale ho firmato il contratto, assieme a quello di NDI.

Quando sono cominciate le riprese?
Il team americano ha girato in Israele tra Pesach e giugno 2022. Durante questi mesi, grazie ad Aleeza, la nostra matchmaker, ho incontrato tre ragazze tra cui Tav: quella con cui ho instaurato la maggior affinità, e con cui finisce la serie. A dire il vero la pima serie è lasciata apposta con un finale aperto perché, visto il grande successo, si sta già parlando di una seconda stagione: anche nella versione indiana ne erano state girate tre.

Come è stata l’interazione con gli altri partecipanti?
La maggior parte di loro, purtroppo, non li ho davvero conosciuti dal vivo, ma solo via zoom, a parte l’altra candidata israeliana, Cindy: religiosa – di origini mezze francesi e mezze canadesi – che vive a Gerusalemme, e con cui siamo diventati molto amici, nonostante io mi consideri a metà strada tra il secolare e il tradizionale. Penso che questo sia stato un altro elemento interessante della serie TV, imparare a conoscersi e ad apprezzarsi l’un l’altro, ciascuno con il suo modo di vivere il proprio ebraismo.

Quale è stata l’esperienza più interessante?
Sicuramente lavorare accanto ad Aleeza che si è dimostrata, oltre che molto professionale, davvero una persona con il cuore d’oro, aperta a tutti e a tutto, a seconda di chi aveva davanti.
Sono convinto che dopo questa serie l’esperienza del matchmaking verrà presa in considerazione molto più seriamente anche dalle persone laiche, per conoscere altri ebrei al di fuori della propria comunità il che, di per sé, è già un’esperienza molto interessante. Anche perché spesso noi ebrei, come si evince dalla serie, siamo a nostra volta un prodotto ibrido, fatto di culture diverse, che in questo modo si incontrano, si mescolano, si ritrovano.
E a volte si innamorano.

Fiammetta Martegani
collaboratrice

Curatrice presso il Museo Eretz Israel, nasce a Milano nel 1981 e dal 2009 si trasferisce a Tel Aviv per un Dottorato in Antropologia a cui segue un Postdottorato e nel 2016 la nascita di Enrico: 50% italiano, 50% israeliano, come il suo compagno Udi. Collaboratrice dal 2019 per l’Avvenire, ha pubblicato nel 2015 il suo primo romanzo “Life on Mars” (Tiqqun) e nel 2017 “The Israeli Defence Forces’ Representation in Israeli Cinema” (Cambridge Scholars Publishing). Il suo ultimo libro è Tel Aviv – Mondo in tasca, una guida per i cinque sensi alla scoperta della città bianca, Laurana editore.


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