Dare un senso, oggi, a questa giornata del ricordo
Il nono giorno del mese di Av: l’ultimo delle tre settimane di Bein Ha-Metzarim e il più luttuoso. A Tisha B’Av, com’è noto, si commemora la distruzione dei due Templi di Gerusalemme (rispettivamente, anno 586 a.e.v. e 70 e.v.). Ma non solo: ci sono altri eventi funesti nella storia ebraica che risalgono proprio a questa data. Li elenca Rabbi Robert Goodman su My Jewish Learning: la condanna a quarant’anni di peregrinazione nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto; la caduta di Betar, la fortezza di Bar Kokhba, per mano romana, nel 135; la costruzione di un tempio pagano a Gerusalemme per volere dell’imperatore Adriano, nel 136; l’editto di espulsione degli ebrei dall’Inghilterra, firmato da re Edward I nel 1290; e il decreto di espulsione degli ebrei dalla Spagna, voluto dal re Ferdinando e dalla regina Isabella, nel 1492.
Deborah Finenblum su Jewish News Syndicate aggiunge altri fatti: l’inizio della prima crociata, proclamata da Papa Urbano II nel 1095; l’inizio della Prima Guerra Mondiale nel 1914; la deportazione dei residenti nel ghetto di Varsavia verso il campo di sterminio di Treblinka nel 1994; l’attentato all’AMIA di Buenos Aires nel 1994.
Un giorno di digiuno e astensione dalle manifestazioni di gioia e piacere: come indossare abiti e scarpe di pelle, avere rapporti sessuali, lavarsi, usare profumi e gioielli. Ma quali sono o possono essere i significati attivi nel presente? Sia la Diaspora sia Israele offrono diversi spunti.
Stati Uniti: riflettere e reagire alla violenza
Un editoriale pubblicato su The New York Jewish Week, significativamente intitolato “America The Bloodied”, riflette sul significato di Tisha B’Av alla luce dei massacri di El Paso e Dayton, e sul ruolo dell’individuo nella comunità: “Giorni come questo sono fatti per la riflessione profonda, se non per il pentimento, per gli individui e per la comunità […]. La domanda non è se il presidente è direttamente responsabile di queste orribili sparatorie. La domanda è se possiamo continuare a ritenerci una società civilizzata quando permettiamo che i nostri rappresentanti eletti a Washington non facciano altro che offrire pensieri e preghiere. […] A Tisha B’Av, mentre ricordiamo le tragedie dei Templi distrutti e la persecuzione sofferta dal nostro popolo nei secoli, dobbiamo prenderci il tempo di pensare a come ognuno di noi può impegnarsi ad aprirsi – ai vicini, alla comunità – per fare in modo che i nobili ideali della nostra società siano più di semplici parole”.
Mentre Miriam Finder Annenberg descrive la situazione a Pittsburgh per The Forward: questo sarà il primo Tisha B’Av dopo l’attentato del 27 ottobre scorso, giorno in cui un suprematista bianco ha aperto il fuoco sui presenti alla funzione di Shabbat della sinagoga Tree of Life a Squirrel Hill, uccidendone undici. “Per gli ebrei di Squirrel Hill, il lutto non è una questione di memoria: non ancora, o forse non lo sarà mai. Alla vigilia della ricorrenza, non sanno di preciso cosa faranno, come si sentiranno, ma stanno cercando di prepararsi. L’ebraismo fornirà una base e su di essa costruiranno”. Una continuità di significato tra passato e presente, attraverso la ritualità, come confermato dalle voci della comunità che compaiono nell’articolo. Tra esse, quella di Rabbi Jeremy Markiz: “Tisha B’Av è un contenitore per eventi tragici e traumatici. È giusto che ci prepariamo a celebrarlo riflettendo sulla nostra propria tragedia”. E quella di Stefanie Small: “La ricorrenza rievocherà sicuramente ricordi traumatici e sentimenti difficili, ma è anche un’opportunità per guarire. Quando sei alla ricerca, ti rivolgi alla Torah, ti rivolgi al rituale”. In aggiunta alla ritualità “classica”, quest’anno i membri della comunità potranno contare, se lo desiderano, sulla presenza di psicologi, su cani da terapia (therapy dogs, cani addestrati per alleviare dolore e stress psicologico) e potranno ascoltare persone provenienti da tutta la città condividere una personale esperienza dolorosa nel quadro del programma “Racconti di distruzioni e rinascita”. Tra gli ospiti ci saranno i South Pittsburgh Peacemakers, un gruppo impegnato nella prevenzione di sparatorie, e Casa San Jose, un gruppo comunitario ispanico di advocacy.
Jews Say #CloseTheCamps: Prendere posizione sull’immigrazione
Sempre negli Stati Uniti, una coalizione di organizzazioni ebraiche progressiste, racconta Marjorie Ingall su Tablet Magazine, ha deciso di trasformare questo Tisha B’Av in una giornata di protesta, per la quale è stato scelto il nome Jews Say #CloseTheCamps. Le associazioni Truah, The National Council of Jewish Women, Bend the Arc, the Religious Action Center, Torah Trumps Hate, J Street prevedono di riunirsi per una manifestazione davanti agli uffici dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) e ai centri di detenzione per immigrati. “Questa ricorrenza esiste per piangere le catastrofi che hanno colpito il popolo ebraico”, dice Rabbi Salem Pearce, direttrice di Truah. “Non piangere la catastrofe che sta avvenendo proprio ora sotto i nostri occhi sarebbe un’opportunità mancata. (…) Per la risonanza storica e personale di ciò che sta avvenendo nel nostro Paese, io dico che questo è un problema ebraico. Il modo in cui trattiamo le persone che arrivano qui per trovare rifugio è moralmente abominevole. E non possiamo far finta che ciò non abbia a che fare con noi. Dobbiamo levarci in difesa dei valori ebraici, soprattutto ora che l’ebraismo è utilizzato come un gioco politico. Due ebrei, Jared Kushner e Stephen Miller, sono in prima linea nelle politiche anti migratorie del governo, e la loro ebraicità viene citata come prova del “Così è come gli ebrei pensano davvero”. Dobbiamo rispondere come comunità: No. Essi non ci rappresentano”.
Dialoghi plurali: appuntamento a Tel Aviv
Un’altra reinterpretazione di Tisha B’Av arriva da Tel Aviv: sabato sera, la città sarà teatro di “Come creare il dialogo: Tisha B’Av a Piazza Habima”. Un evento sponsorizzato dal Comune, dalla yeshiva laica Bina e dall’organizzazione Shira Banki’s Way (creata in memoria della quindicenne accoltellata da un estremista ultraortodosso durante la Pride Parade del 2015 a Gerusalemme), in cui speaker e gruppi di ogni tipo si alterneranno in discussioni sulla società israeliana.
Lo riporta Jessica Steinberg su The Times of Israel: “Una tradizione diffusa crede che la causa delle tragedie di Tisha B’Av, dalle più antiche alle più recenti, sia stato l’odio immotivato tra ebrei. Come reazione, ogni anno in tutto il mondo ebraico si promuovono iniziative basate sull’unità e la cooperazione”. Alla “maratona di conversazioni” di Tel Aviv ce ne sarà per tutti i gusti, dagli attivisti lgbt ai rappresentanti di Yesha, l’organizzazione-ombrello degli insediamenti. E sarà, per citare le parole degli organizzatori “un’opportunità per ascoltare ed essere ascoltati, parlare, imparare, leggere, assumersi la responsabilità per il miglioramento della società israeliana”.
Laureata a Milano in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, ha studiato Peace & Conflict Studies presso l’International School dell’Università di Haifa, dove ha vissuto per un paio d’anni ed è stata attiva in diverse realtà locali di volontariato sui temi della mediazione, dell’educazione e dello sviluppo. Appassionata di natura, libri, musica, cucina.