Ritratto (con poesia) dello scrittore israeliano
Dopo la scomparsa di Meir Shalev, nelle scorse settimane il pubblico israeliano ha dovuto congedarsi da un’altra sua grande icona culturale, Yonatan Geffen morto a settantasei anni dopo una breve malattia. Uomo eclettico e politicamente impegnato nelle file della sinistra storica israeliana, Geffen è stato poeta, scrittore, paroliere, ma anche giornalista, drammaturgo, sceneggiatore e addirittura comico. Figlio di una delle famiglie più rappresentative della storia israeliana – per intenderci, Moshe Dayan era suo zio – Yonatan Geffen è nato nel moshav di Nahalal un anno prima di Meir Shalev. Tra i suoi figli, Aviv, amatissimo cantante rock, Shira, apprezzata scrittrice, moglie di Etgar Keret, e Natasha, attrice. Ma queste informazioni non sono che un semplice esercizio di nozionismo, utile soltanto per collocare meglio la sua figura, soprattutto per il pubblico italiano, che raramente conosce il ruolo determinante che Yonatan Geffen ha svolto nella vita dello Stato ebraico.
Geffen deve la maggior parte della sua fama a poesie e libri per l’infanzia, che hanno accompagnato l’esistenza di intere generazioni di israeliani. Uno su tutti: Ha-keves ha-shisha asar, “La sedicesima pecora”, pubblicato nel 1978. Una curiosità: il libro non riscosse un immediato successo di vendite, ma fu trasformato in un pilastro della cultura israeliana dal musicista Dudu Elharar che ne fece un disco di clamorosa diffusione tra il pubblico, con la partecipazione di artisti della levatura di Yehudit Raviz, Gidi Gov, David Brusa e Yoni Rechter. Impossibile dimenticare le armonie avvolgenti di Ha-yaldah hakhi yafah ba-gan, “La bambina più bella dell’asilo”, o il ritmo allegro e vagamente dissonante di Eykh shir nolad, “Come nasce una canzone”. Tuttavia, ciò che ha distinto in maniera particolare la sua scrittura è stato l’interesse costante nei confronti della politica, che lo ha reso una delle voci più audaci dell’establishment intellettuale israeliano. In gioventù Yonatan Geffen ha combattuto nelle file di Zahal, prima nella Guerra dei Sei Giorni, poi in quella del Kippur. L’esperienza crudele della guerra gli procurò un trauma profondo, al quale è facilmente ascrivibile il netto antimilitarismo che ha da sempre contraddistinto le sue posizioni. Il disincanto nei confronti degli eventi tragici della storia d’Israele e il crollo delle ideologie che l’hanno guidata e sostenuta ha portato inoltre Geffen ad allontanarsi in maniera netta dal collettivismo sionista nel quale era cresciuto. Nella sua opera, al centro della scena non si erge più il “noi”, l’anahnu, bensì l’io, l’ani. E ciò vale non solo per i testi che egli ha pubblicato per gli adulti, ma anche per la sua produzione destinata ai bambini. Basti pensare alla celeberrima filastrocca Ani ohev, “Io amo”, che, dopo aver sciorinato un lungo elenco di cose da amare (la cioccolata, papà e mamma, le stagioni e molto altro), si conclude con il verso intenzionalmente sgrammaticato, “ma tanto più di tutti, io amo me!”.
Tradurre i testi delle canzoni è un’operazione estremamente difficoltosa. In assenza del sostegno della melodia si rischia facilmente di svilire l’originale. Tuttavia, per ricordare a dovere Yonatan Geffen ho deciso di assumermi questa responsabilità e di provare a rendere in italiano una delle sue canzoni più toccanti, Maqom li-de’agah, “Un luogo di pena”, pubblicato nel 1974, dopo la Guerra del Kippur. Se l’esito non sarà felice, i lettori potranno comunque ritrovare tutta la bellezza di questa lirica nell’indimenticabile interpretazione di Matti Caspi.
Al confine del cielo, alla fine del deserto
c’è un luogo lontano colmo di fiori selvatici
un luogo piccolo, misero e folle
un luogo piccolo, un luogo di pena.
Laggiù si racconta che cosa accadrà
e si pensa a tutto ciò che è successo.
Laggiù Dio sta seduto e vede,
e veglia su tutto ciò che ha creato.
Vietato raccogliere i fiori del giardino
vietato raccogliere i fiori del giardino
e la pena, la terribile pena.
Sara Ferrari insegna Lingua e Cultura Ebraica presso l’Università degli Studi di Milano ed ebraico biblico presso il Centro Culturale Protestante della stessa città. Si occupa di letteratura ebraica moderna e contemporanea, principalmente di poesia, con alcune incursioni in ambito cinematografico. Tra le sue pubblicazioni: Forte come la morte è l’amore. Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Salomone Belforte Editore, 2007); La notte tace. La Shoah nella poesia ebraica (Salomone Belforte Editore, 2010), Poeti e poesie della Bibbia (Claudiana editrice, 2018). Ha tradotto e curato le edizioni italiane di Yehuda Amichai, Nel giardino pubblico (A Oriente!, 2008) e Uri Orlev, Poesie scritte a tredici anni a Bergen-Belsen (Editrice La Giuntina, 2013).