Il rapporto tra diaspora e Israele
Cosa significa per un ebreo della diaspora sostenere Israele? Risponde rav Gadi Piperno, rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze
È un equilibrio molto difficile perché, a prescindere dalle opinioni politiche, siamo fedeli cittadini dello stato in cui viviamo e al contempo abbiamo un legame forte con Israele. È un legame identitario ancora prima che religioso, inoltre Israele ha anche un ruolo nella difesa degli ebrei nel mondo dopo secoli di persecuzioni. Allora, in questo contesto, la critica politica è lecita, ma eccede questo limite se si prendono posizioni che ledono l’esistenza di Israele stesso. Chi vive nella diaspora deve avere una cautela ulteriore nel criticare Israele perché può essere facilmente strumentalizzato. Bisogna dunque prima di tutto combattere la disinformazione, compito non facile che in parte si realizza conoscendo dati e fatti storici da portare nel dialogo, che può essere molto costruttivo soprattutto fuori dai momenti di crisi. Dal punto di vista religioso, penso che noi rabbini non dobbiamo entrare troppo in discorsi politici: cerchiamo di occuparci di principi e insegnamenti che hanno un’aspettativa di essere eterni (o quasi). Il nostro compito quindi è di essere vicino alle persone, portarle al ragionamento e a evitare reazioni scomposte. Certamente con Israele esiste un forte legame anche dal punto di vista religioso, ma bisogna fare molta attenzione: un conto è parlare di Eretz Israel un conto è parlare dello Stato d’Israele. La politica è l’arte del possibile, quindi deve saper interagire con la religione e anche ispirarsi a principi ebraici, ma non penso che atti politici debbano avere esclusivamente ragioni religiose. In sostanza, a mio parere, noi rabbini possiamo supportare Israele stando vicino alle persone e aiutandole a trovare questo non semplice equilibrio.