Alla, Liza, Katia e una mamma ottuagenaria
Nel piano terra di uno dei tanti uffici dello Yad Vashem a Gerusalemme – l’Ente nazionale per la memoria della Shoah- si trova uno dei dipartimenti piu’ simbolici dell’Istituto: il Dipartimento dei Giusti fra le Nazioni. Qui lavorano ogni giorno poco piu’ di una decina di persone, le quali raccolgono testimonianze, documenti, diari e articoli per ricostruire le vicende dei non-ebrei che hanno rischiato la loro vita per salvare ebrei durante la Shoah. Dopo attente analisi e ricerche, le storie che rispondono ai criteri stabiliti dallo Yad Vashem, vengono presentate ad una commissione esterna guidata da un membro della Corte Suprema israeliana, che ha il compito di decidere se assegnare il titolo di “Giusto fra le Nazioni”.
In passato nell’ufficio del Dipartimento dei Giusti fra le Nazioni, oltre alle richieste di riconoscimento, sono giunte anche domande da parte di parenti dei Giusti che riguardavano soprattutto la possibilità di ricevere visti lavorativi in Israele, cosa permessa dalla legge israeliana per un massimo di cinque anni. Negli ultimi mesi, però, l’ufficio ha ricevuto un’ondata di richieste molto più urgenti, a volte disperate: a farle sono i nipoti ed i pronipoti di Giusti in Ucraina, che con l’invasione della Russia si sono rivolti allo Yad Vashem per essere portati via il prima possibile, cercando riparo in Israele. Ed è così che Alla e la piccola Liza sono entrate nella vita di Katia.
Katia Gusarov lavora nel Dipartimento dei Giusti fra le Nazioni dal 1993: in passato si è occupata delle richieste provenienti dalla ex-Unione Sovietica, mentre negli ultimi anni sono di sua competenza anche quelle dalla Yugoslavia, Grecia e perfino dall’Italia. E ora, davanti alle richieste di aiuto arrivate allo Yad Vashem, Katia non è potuta rimanere indifferente: insieme ad altre colleghe ha creato una vera e propria “Task Force” per aiutare queste famiglie, dove collaborando insieme a volontari in Polonia, l’Agenzia Ebraica, la Joint ed il Ministero degli Esteri israeliano sono riuscite a portare 8 famiglie di Giusti che scappavano dall’Ucraina. “E’ una goccia nel mare”, mi dice Katia con uno sguardo che esprime difficoltà e sofferenza. “Alcuni hanno dovuto rinunciare alla possibilità di scappare e trovare rifugio in Israele quando hanno capito che gli uomini non sarebbero potuti partire”. Katia, non solo si è adoperata dietro le quinte, ma dalla metà di marzo ha aperto le porte di casa sua a Alla Misiuk di 42 anni ed alla figlia Liza di 13 anni.
Alla è la pronipote di Ivan e Tatyana Peremot, che vivevano a Merefa, un distretto di Kharkov in Ucraina e che nascosero nella loro casa un amico ebreo del figlio: Viktor Rudnik. Rudnik, allo scoppio della guerra, si era unito all’Armata Rossa, ma fu fatto prigioniero; riuscì a scappare, girovagò finché fu accolto dai Peremot che lo aiutarono a recuperare le forze dicendo ai nazisti nella zona che quello fosse il loro figlio. Dopo qualche settimana Rudnik decise di passare il fronte e raggiungere nuovamente l’Armata Rossa, essendo in possesso dei documenti d’identità dei figli dei Permot. Fu così che Rudnik fu salvato e non dimenticò l’aiuto e la bontaà ricevuti nel momento del bisogno: nel 1998 su sua richiesta, i Permut furono riconosciuti “Giusti fra le Nazioni” dallo Yad Vashem. Alla non ha mai conosciuto i suoi bisnonni, ma è cresciuta con il racconto di questa storia che viene tramandata in famiglia, la quale custodisce con orgoglio l’attestato e la medaglia ricevuti dallo Yad Vashem.
Alla ha studiato ragioneria, ma si è trovata in passato costretta a fare lavori di ogni tipo per superare le difficoltà economiche; una volta attraversato il confine con la Polonia è riuscita ad arrivare con la figlia Liza in Israele, lasciando in Ucraina il marito, col quale cerca di comunicare giornalmente. Purtroppo Israele negli ultimi mesi ha subito diversi attentati, cosa che sicuramente turba ulteriormente chi avrebbe bisogno di un po’ di riposo e serenità e che, senza dubbio, non giova alle dolorose emicranie di cui Alla soffre dopo essersi trovata nel mezzo di un bombardamento durante uno dei viaggi per scappare dall’Ucraina. Nonostante tutto ciò, Alla non smette di sorprendersi della bellezza del Paese, dei suoi panorami e della sua natura; la piccola Liza, che poco prima di Pesach ha cominciato a frequentare una scuola israeliana, già capisce e balbetta parole in ebraico.
Katia vive oggi a Modiin con la mamma di 80 anni e due figlie ed ha creato intorno a sé un nuovo nucleo famigliare tutto al femminile. Certo, ci sono stati e ci saranno ancora momenti di crisi, di sconforto, di sfinimento per mettere in moto la ruota burocratica per aiutare persone sconosciute che vengono a volte da realtà e mentalità molto lontane, ma come mi dice Katia col sorriso, “Tutti gli inizi sono difficili.”
Chiedo infine a Katia: “Credi che il tuo lavoro di tanti anni per il riconoscimento dei Giusti fra le Nazioni abbia influito su quello che stai facendo per Alla e Liza?” “Penso che chi lavora in questo dipartimento sia sicuramente più sensibile ed empatico alla sofferenza altrui: quando ti rendi conto fino a che punto le persone siano state capaci di arrivare per salvare altri esseri umani che a volte neanche conoscevano, tutto quello che facciamo noi oggi è scontato che venga fatto.”
Il cerchio aperto da Ivan e Tatyana Peremot nel dicembre del 1941 si chiude ora in Israele dopo quasi 80 anni, portando in se’ un filo conduttore: fare del bene agli altri in maniera disinteressata.