Siamo un unico popolo: la lettera di Rachel Sharansky Danziger, figlia di uno dei più noti refusenik
Natan Sharansky, oggi presidente dell’Agenzia Ebraica e figura di spicco della politica e della vita pubblica israeliana, è stato uno dei più noti refusenik (persone perlopiù di religione ebraica, ma anche di altre minoranze religiose, alle quali l’Unione Sovietica aveva vietato l’espatrio). Già militante per i diritti umani, nel 1977 Sharansky fu arrestato con l’accusa di tradimento e spionaggio a favore degli Stati Uniti, e condannato ai lavori forzati. Trascorse nove anni in un gulag siberiano, fino alla sua liberazione nel 1986. Liberazione che, con tutta probabilità, non sarebbe mai avvenuta, se non fosse stato per la grande mobilitazione che si creò intorno al suo caso.
Pubblichiamo la lettera della figlia Rachel che evoca quei momenti, scritta dopo il massacro di Pittsburgh, contro la tentazione della discordia e delle accuse reciproche.
Cari Ebrei,
se non fosse per voi, io non esisterei.
Quando mio padre, Natan Sharansky, venne arrestato dal KGB, molti pensarono, razionalmente, che per lui fosse finita. Alcuni addirittura consigliarono a mia madre, che tre anni prima aveva lasciato la Russia e lo stava aspettando in Israele, di buttarsi alle spalle il passato e continuare con la sua vita.
Un uomo solo contro un impero, le dicevano, che probabilità può avere di vincere?
Si sbagliavano.
Vedevano un uomo solo contro un impero.
Non riuscivano a capire che non era solo affatto.
Non riuscivano, in poche parole, a vedere VOI.
Voi che scendeste a manifestare. Voi che scriveste lettere ai vostri rappresentanti al Congresso. Voi che vi incatenaste ai consolati sovietici di tutta l’America, voi che liberaste dei topi durante uno spettacolo del Balletto di Mosca a Londra, voi che convinceste i politici che avevate eletto a rilasciare dichiarazioni ufficiali di supporto, voi che tanto diceste e faceste che quando Gorbačëv, in visita a Washington, tentò di parlare di politica con il Presidente Reagan, quest’ultimo poté solo indicare la folla di manifestanti che si vedeva dalla finestra e dire: “Lei può dire quello che vuole, ma il mio popolo crede a quella signora [mia madre]”, e domandare la liberazione di mio padre.
Voi lo avete fatto. Voi avete fatto sì che i miei genitori potessero riunirsi in Israele e costruire una famiglia. Voi avete fatto sì che io e mia sorella potessimo nascere.
E qui sta il punto: voi TUTTI l’avete fatto.
Voi di sinistra e voi di destra. Voi che pregate nelle sinagoghe ortodosse e voi che pregate in quelle reform, conservative e ricostruzioniste, e anche voi che non pregate da nessuna parte. Voi che avete votato per Trump nel 2016 e voi che avete partecipato alla March for Our Lives, e voi che vi accusate a vicenda di aver aperto la porta alle forze che hanno provocato l’orrore dello scorso Shabbat [il massacro di Pittsburgh, N.d.T.], tutti voi, nessuno escluso.
Io devo la mia esistenza a ognuno di voi. Tutti voi vi siete messi in gioco. Tutti voi siete scesi in strada. Tutti voi avete manifestato.
Non significa che con tutti voi io sia sempre d’accordo (non sarebbe possibile per definizione, perché siamo tutti diversi). Ma significa che anche quando siamo in contrasto, una cosa la so: voi siete il mio popolo. Carne della mia carne. Persone a cui importa dei loro fratelli. E lo avete PROVATO.
Voi TUTTI l’avete provato.
Non potrò mai ripagarvi. Del resto, questo non è un tipo di debito che si può ripagare.
Tutto ciò che posso fare è ricordare, qui, a me stessa e a voi: noi siamo un unico popolo. Anche quando non andiamo d’accordo.
Nata e cresciuta a Gerusalemme, Rachel scrive di ebraismo, educazione dei figli e vita in Israele per The Times of Israel e Kveller, e si occupa di narrazione della Bibbia come insegnante e partecipante al progetto 929.