Ebraicità e cristianità nell’opera di Michelangelo
Ebrei e Cristiani nella Cappella Sistina è il titolo della trattazione di Giovanni Careri che mette da subito in evidenza l’intreccio tra due identità così come tra fine Quattro e prima metà del Cinquecento sono interpretate e raffigurate nel cuore della Cristianità Cattolica: la Cappella Sistina in Vaticano, a Roma, centro fin dai primi secoli del potere spirituale e temporale dei Papi. Opere d’arte e illustrazione in chiave teologica e storica dalla creazione dell’uomo e della donna (Genesi) alla caduta del peccato originale, alle storie bibliche di Israele (volta di Michelangelo, 1508-1510); al parallelismo tra Mosè e Gesù (affreschi di altri pittori, come Perugino e Botticelli), cioè tra tradizione della Legge Mosaica come principio morale e norma della stirpe ebraica e genealogia universale in Cristo. Una storia del cristianesimo che germoglia e si fonda sulla radice ebraica antica. Da qui il rapporto e il conflitto identitario tra ebrei e cristiani: l’ebreo come necessario (principio di inclusione) e l’ebreo come altro (principio di esclusione). E poi la raffigurazione dei Papi sulle pareti che si succedono nel tempo storico per via di elezione, non per successione genealogica proprio nel luogo dove si svolge il Conclave. Poi, tra pareti e volte, sono interposte le immagini degli Antenati di Cristo come rappresentazione visiva di un tempo sospeso, di attesa; ed ancora le Sibille e i Profeti come immagini della profezia del tempo futuro. Infine, la grande parete dell’altare sulla quale domina il Giudizio di Michelangelo (1535-41), visione escatologica di un processo universale che chiude la storia con la scena della Resurrezione dei morti: chiamata ultima alla conversione o alla condanna.
Careri fin dall’inizio del suo libro parla di “montaggio della storia”. Da una storia lineare che vede uno sviluppo dalle origini del mondo nella direzione della Salvezza, alla fine del tempo che segna il momento della decisione e della scelta tra “conformazione al corpo glorioso del Cristo risorto” o la scelta opposta. Alto e basso, ascesa e discesa sono le due coordinate spaziali che Michelangelo interpreta come forze contrapposte. La forma serpentinata che bilancia il corpo in ascesa è del resto un carattere della figuratività michelangiolesca, sia essa scultura o pittura (Tondo Doni, Pietà Rondanini). Più in profondo egli mette in atto la contrapposizione di spinte opposte nell’economia della propria opera come modo di rappresentare l’energia vitale, il soffio della vita più che la forma finita. Il processo di conformazione al corpo glorioso, dunque, più dell’atto compiuto; il compiersi, l’atto generativo di un movimento. E così, nello spazio fluido del Giudizio in cui non c’è più un punto di vista e un punto di fuga rassicuranti per la percezione dello spettatore, vi è invece un flusso di energia continuo, in cui colui che guarda, può solo prendere parte, non guardare dal di fuori. Le forze del Male che trascinano verso il basso il condannato sono anch’esse la visione non di una sentenza specifica definitiva, ma di una energia negativa che cambia i connotati della vita fino alla paralisi. Espliciti sono i riferimenti alla scultura greca antica. Nel caso del dannato trascinato in basso da Caronte, la statua del Laocoonte avvinghiato dai serpenti insieme ai figli, per volontà divina, è eloquente schema visivo per un gioco di contrapposizioni. Il gruppo scultoreo ellenistico era appena stato scoperto in Vaticano. Ma anche i Prigioni per il monumento funebre a Giulio II (1513), manifesteranno di lì a poco, con tutta evidenza, la forma visibile dell’energia come forza che estrae la forma dei corpi nascosta nella materia.
Altra forma presa dall’antico (Nach leben der Antike, secondo il pensiero critico di Aby Warburg), la Niobe che protegge i suoi figli dalla punizione di Apollo (Pathos Formeln) costituisce la matrice formale della figura di donna a seno nudo che protegge il bimbo e che rimanda a sua volta alla Madonna accanto al Cristo come Apollo vendicatore, in atto di proteggere l’umanità intera. La forma antica rivive e assume validità nuova. Come dire: le immagini costituiscono un repertorio cui attingere dimostrando così una vitalità sorprendente. Come non vedere in questo orientamento critico warburghiano un modo di inquadrare l’ammirazione di Michelangelo per l’antico e il suo continuo guardare al passato? Mai imitazione dell’antico, ma capacità di trovare in esso i punti di orientamento. E a conferma di ciò, Michelangelo si rifaceva anche al passato più prossimo nella storia artistica. Masaccio e Donatello ad esempio, cioè coloro che insieme a Brunelleschi per primi guardarono al patrimonio dell’antichità come fonte di sapienza. E va detto per rispetto e attenzione al fine lavoro di Careri, nella parte forse più significativa del suo testo, “Atlante del nucleo familiare Iconologia e morfologia”, vengono individuate le parentele più coerenti tra le immagini della Umiltà di Masaccio e alcune figure degli Antenati di Michelangelo. Contrapposizione e accostamento fecondi perché generatori di senso. Le rappresentazioni degli Antenati e della loro quotidianità come sospese in una attesa malinconica, dall’altra La Madonna dell’Umiltà di Masaccio ricca di stupore e di consapevolezza del sacrificio futuro del Figlio. Da una parte la paralisi dell’azione, dall’altra la prefigurazione dell’azione vitale e la speranza. Così ancora per la sapiente comparazione dell’iconografia di Eva e Adamo dopo il peccato originale e la condanna al lavoro e ai dolori della maternità con le fatiche quotidiane nella raffigurazione degli Antenati: peccato nella economia della Salvezza e della Grazia e vita priva di speranza nell’ottica cristiana. E poi per la sottolineatura frequente in Careri del peso delle immagini e del metodo dell’Atlante comparativo. Così, citando esplicitamente Aby Warburg, può commentare il singolare collage di fotografie (Mnemosyne, 1927-29) dove il Giudizio Universale è posto accanto a immagini della Caduta di Fetonte e a una delle lunette degli Antenati. Le opposizioni fra due cadute spiegano il senso dell’affresco di Michelangelo. Cadute e redenzione contro caduta ineluttabile. Il principio warburghiano dell’accostamento delle immagini permette a Careri di ipotizzare il significato degli Antenati e delle loro famiglie come una immagine costruita sul tipo della Sacra Famiglia, ma in chiave sottrattiva, diminuitiva. Il disegno della Salvezza universale fa da perno tra ebraismo e cristianesimo. La Sacra famiglia è il punto di equilibrio tra prima e dopo Cristo. E di nuovo emerge la contraddizione tra l’ebraismo pilastro del cristianesimo e l’annuncio a tutte le genti che supera la genealogia ebraica (nella lettura di San Paolo).
La storia. Se si considera l’arco temporale che va dai primi affreschi sulle pareti laterali della Cappella fino alle decorazioni della volta e al compimento del Giudizio Universale, si vede bene come Careri usi termini critici che da una parte permettono una lettura per parti giustapposte o affiancate, comunque collocate rispetto a un insieme. Dall’altra sottolineano la capacità di Michelangelo di tessere una struttura complessa di cui le parti costituiscono l’armatura e in definitiva il senso, in una fabbrica e montaggio della storia, come la definisce Careri. Fabbrica e montaggio sono poi termini che alludono a una costruzione architettonica, una costruzione di volumi e di spazi. Careri è molto eloquente quando parla di topologia a proposito degli Antenati disposti su una linea liminare tra pareti sottostanti e le gigantesche figure della volta. Infine il termine montaggio è esplicitamente riferito alla tecnica cinematografica secondo le teorie di Eisenstein, dove l’accostamento fra parti narrative e parti astratte, permette allo spettatore una visione continua. Lo spettatore è il soggetto nuovo del film che viene coinvolto dalle immagini in una percezione visiva inedita. E tornando alla Sistina come non vedere tutti i brani pittorici che rimandano uno all’altro suscitando il coinvolgimento dello spettatore che passa dalla terribilità delle immagini che appellano la coscienza e interrogano l’io ai brani pittorici più propriamente narrativi. Ecco nel profondo il soggetto, l’io, in senso moderno che si trova di fronte alla scelta definitiva: conformazione al Corpo glorioso o condanna. Lo stesso Michelangelo autoritraendosi nel Giudizio Universale come maschera svuotata dal corpo, trascinato verso l’alto da San Bartolomeo, sembra esprimere questo dubbio: spogliarsi di sé per assoggettarsi all’altro da sé o restare nel proprio limite. Il riferimento a Marsia punito da Apollo è pertinente, ma aggiunge alla immagine antica l’attesa della Grazia. Va detto poi che nella storia della iconografia cristiana del Giudizio Universale c’è una ricchissima serie, in scultura e in pittura, che costituisce un precedente fondamentale per Michelangelo. Come non pensare ai portali delle cattedrali romaniche e gotiche in Italia e in Francia, Wiligelmo a Modena, Reims e Chartres, Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova o Luca Signorelli a Orvieto. Differenze e somiglianze certamente e per tutti vale il principio costruttivo dell’immagine. Nella Cappella Sistina la storia della Salvezza è intrecciata alla storia dei Papi e alla fondazione ideologica della Chiesa sulla consegna delle chiavi a San Pietro (Perugino, 1481). Non a caso nell’opera di Michelangelo Pietro viene raffigurato nell’atto di restituire le chiavi a Cristo nel giorno della resurrezione.
Diversità e affinità. Se la Sistina è da subito oggetto di un programma teologico volto a fondare potere spirituale e temporale dei Papi, innestato sull’albero genealogico ebraico (l’Albero di Iesse), è però vero che con Michelangelo viene operata una sintesi tra narrazione biblica delle origini e visione escatologica finale. Non una storia lineare dalle origini ad oggi, ma una visione del giudizio come fine della storia. Tornando al tema dell’autoritratto, sembra che Michelangelo si sia raffigurato in una delle lunette degli Antenati. L’atteggiamento malinconico, la postura del corpo ripiegato su se stesso rimanda al tema dell’interiorità. Malinconia come stato dell’anima spesso oggetto di indagine filosofica e figurativa nel Rinascimento. Malinconia come connotato psicologico degli Antenati. E da ultimo, Michelangelo ritratto come come Eraclito nella Scuola di Atene di Raffaello (Stanze Vaticane) che sembra rappresentare una riflessione sulla filosofia antica dove viene contrapposto il dubbio e l’atteggiamento malinconico alla assertività delle figure di Platone e di Aristotele. Molteplicità dell’io piuttosto che univocità sembrano gli spunti pittorici più eloquenti per rappresentare la complessità della persona. Una figura di artista a tutto campo che si è confrontato anche con i movimenti e i tentativi di riforma all’interno della chiesa cattolica (gli Spirituale e Savonarola e il confronto poi con la filosofia neoplatonica). E infine il riferimento profondo a S. Agostino con la sua vita segnata dalla conversione, così come S. Paolo. dalla conversione e dalla Grazia. Fondamentale in Michelangelo è il riferimento a Dante e alla Commedia. Il cammino spirituale del poeta nell’aldilà è sostenuto dalla guida di Virgilio, così per Michelangelo il riferimento all’antico è la guida del suo percorso artistico e la potenza plastica delle parole di Dante si traduce nel gigantismo delle figure dell’artista. Come non ricordare che la figura tormentata del dannato dubbioso viene ripresa dallo scultore Gustave Rodin nella sua Porta dell’Inferno, con il titolo Il Pensatore (1880). La sensibilità moderna di Rodin è tutta intessuta di riferimenti alla amata arte di Michelangelo, ma anche alla potenza figurativa della narrazione poetica di Dante. E’ significativo che un’opera di passaggio verso l’arte moderna sia così saldamente ancorata alla tradizione artistica italiana; pochi decenni dopo Rodin, Alberto Giacometti introdurrà una scultura dove la materia plastica sembra corrodersi dal di dentro per acquisire una potente espressione contemporanea: l’Homme qui marche (1961), opera che messa a confronto con le figure di Rodin diventa esemplare.
G. Careri, Ebrei e cristiani nella Cappella Sistina, Quodlibet 2020
Sandra Sicoli, storica dell’arte, ha lavorato presso la pinacoteca di Brera e la soprintendenza alle Belle arti di Milano.
Pierpaolo Nicolini, architetto, docente di Storia dell’arte