E dai due nomi, Vilna, la Gerusalemme dellEst e Vilnius, la città della Lituania. Un itinerario ebraico
Esistono almeno due Vilnius. Una è quella del presente, l’altra è quella della memoria. E se è vero che questo potrebbe valere per qualunque città che abbia una storia, nel caso della capitale lituana questa distinzione segna uno stacco netto, drammaticamente incolmabile.
Quella che un tempo era chiamata la Gerusalemme dell’Est è oggi una città la cui presenza ebraica è letteralmente l’ombra di se stessa. Non si tratta solo di numeri, che già basterebbero a comprendere l’entità del dramma, con l’annientamento di una comunità che un tempo contava circa 100mila anime, quasi la metà della popolazione complessiva, e che poteva pregare in oltre cento sinagoghe. Al termine della seconda guerra mondiale, gli ebrei di Vilna, questo il nome ebraico della città, si erano ridotti del 95 per cento, e uno dei centri più importanti dell’ebraismo nordeuropeo era diventato un luogo popolato da fantasmi.
Secondo gli storici, cercare oggi le tracce di quella che era stata la Vilnius ebraica richiede buone doti investigative. Si tratta di un’affermazione forse ingenerosa nei confronti dei pochi ma orgogliosi ebrei rimasti in città e del loro ammirevole impegno nel mantenere viva la memoria del loro glorioso passato, ma i numeri sono davvero impietosi. D’altro canto, lo sforzo di pochi ha fatto sì che, pur tra pesantissime difficoltà economiche, la città offra al visitatore un percorso estremamente accurato, con un Museo Ebraico che oggi può contare su diverse sedi dislocate nel centro cittadino e nella sua periferia.
Dal punto di vista architettonico, la ricerca si fa ancora più complessa. Fiore all’occhiello della capitale lituana, la splendida città vecchia è stata dichiarata Patrimonio Unesco per l’estensione del centro storico e il valore dei suoi palazzi barocchi, ma chi la percorre troverà ben poche tracce di una parte consistente della sua popolazione di un tempo. Quelle rimaste, sono indicate da una targa in marmo posta in Rūdninkų gatvé 18, all’ingresso principale di quello che durante l’occupazione nazista, dal 1941 al 1943, era stato il ghetto.
Suddiviso in due parti, il piccolo e il grande, il luogo di confinamento per migliaia di ebrei era stato istituito il 31 agosto del 1941, ma già con l’arrivo delle truppe tedesche, alla fine di giugno, molti giovani erano già stati arrestati e costretti ai lavori forzati, mentre migliaia di altri sarebbero stati sterminati nella vicina foresta di Paneriai. I sopravvissuti all’eccidio furono rinchiusi nei due ghetti, il maggiore destinato a quanti avevano il permesso di lavoro e alle loro famiglie, il minore riservato ai cosiddetti inabili, tutti uccisi entro la fine del primo anno. Al termine della guerra, i superstiti del ghetto sarebbero stati non più di 3000.
Se gli edifici restaurati del centro cittadino conservano solo poche tracce di questo orribile passato, sono ancora meno i ricordi dell’aspetto glorioso della storia ebraica di Vilnius. Delle circa 110 sinagoghe e delle 10 yeshivot che facevano della città baltica uno dei centri di studio dell’ebraismo più importanti d’Europa, oggi è sopravvissuta solo la Sinagoga Corale, in Pylimo gatvé 39. Costruita nel 1903 in stile Art Nouveau, è oggi l’unica rimasta attiva in città, salvatasi dalla devastazione nazista unicamente perché le truppe l’avevano utilizzata come deposito per i medicinali. La facciata spicca per gli elementi moreschi e neo-bizantini, mentre l’interno è reso maestoso dalla scenografica cupola blu dalla quale scendono i quattro pilastri che delimitano la sala centrale e sorreggono le gallerie del matroneo. Requisita nel dopoguerra dai sovietici, che la destinarono alla lavorazione del metallo, solo con la perestrojka e l’indipendenza della Lituania sarebbe stata finalmente restituita alla comunità ebraica.
Una sorte ben peggiore toccò invece a quella che fino alla guerra era stata il più importante luogo di preghiera di Vilnius, la Sinagoga Grande. Costruita in stile barocco tra il 1630 e il 1633 sulla sede di un precedente tempio in legno del 1572, spiccava per le dimensioni gigantesche, con una capacità di oltre 3000 persone. Tanto maestosa da avere conquistato, secondo la leggenda, lo stesso Napoleone, fu devastata dai nazisti, che però non riuscirono a distruggerla. A questo avrebbero provveduto le autorità sovietiche, che la rasero al suolo tra il 1955 e il 1957, facendo costruire un campo da basket e un asilo sul suo sito, tanto per scoraggiare una sua possibile ricostruzione.
Nell’opera di annientamento del patrimonio ebraico di Vilnius i sovietici non si limitarono all’abbattimento del luogo di culto, ma anche di due dei tre cimiteri. Il più antico, fondato nel XV secolo, era quello di Piramont e si trovava nel sobborgo di Snipiskes, a nord del fiume Neris. Già chiuso nel 1831 dalle autorità zariste, sarebbe poi stato distrutto dai sovietici nel 1949-50 durante la costruzione dello stadio di Zalgiris (demolito nel 2016), e del Palazzo dei concerti e degli sport, inaugurato nel 1971 e chiuso nel 2004.
L’altro cimitero ebraico scomparso era quello di Uzupis, rimasto attivo dal 1828 al 1943 (o ’48) per essere poi a sua volta distrutto dai sovietici. Sul suo antico sito, dove si trovava l’ingresso, sorge oggi un memoriale, costruito con alcune delle antiche lapidi usate in precedenza come materiale edilizio. Il terzo cimitero si trova nel Seskine, un quartiere relativamente nuovo a Nord del centro cittadino. Chiamato Dembovka, ma ora noto come cimitero di Saltonishkiu, fu inaugurato nei primi anni Quaranta in Suderves gatvé 28 ed è l’unico cimitero ebraico funzionante a Vilnius. Anche se è difficile individuarne il luogo esatto, è qui che sono stati trasferiti i resti un tempo seppelliti nel cimitero di Piramont di Rabbi Elijah ben Solomon, noto come Gaon di Vilna (1720-1797) e considerato il più grande genio talmudico del suo tempo.
Il grande studioso è ricordato anche in città, in Žydų gatvé 5, con un monumento che ne riproduce il busto nei pressi della sua antica abitazione, segnalata da una targa.
Restando in centro e imboccando Naugarduko gatvė, al 10/2 si accede a una delle sedi principali del Museo Statale Ebraico di Vilnius (intitolato a Gaon di Vilna nel 1997, in occasione del bicentenario della morte), il Tolerance Center. Negli spazi di un edificio storicamente di proprietà della comunità, questo spazio espositivo era stato una mensa per i più bisognosi e, dopo la prima guerra mondiale, un teatro ebraico e centro culturale. Trasformato in museo nel 1989 dal Ministero della Cultura Lituano, ospita diverse mostre permanenti e temporanee, dedicate sia alla vita ebraica in Lituania con antichi oggetti salvati dalla Shoah, sia ad artisti ebraici contemporanei. Tra le esposizioni permanenti, Il bambino ebreo lituano salvato racconta la Shoah presenta cinquanta storie documentate e illustrate di bambini ebrei salvati, con un memoriale interattivo dedicato ai piccini assassinati durante l’Olocausto. Nella stessa sede è possibile visitare anche il Museo Samuel Bak , inaugurato nel novembre 2017 e dedicato all’artista ebreo oggi residente negli Stati Uniti, nato a Vilnius nel 1933 e unico sopravvissuto della sua famiglia, insieme alla madre, allo sterminio del ghetto.
Fa sempre parte del Museo anche la Mostra sull’Olocausto ospitata nella Green House in Pamėnkalnio gatvé 12. Vi si ripercorre la storia della civiltà litvak, ossia degli ebrei lituani, dal loro arrivo nel Granducato di Lituania fino alla loro morte nel XX secolo. Legata a uno dei capitoli più drammatici della storia è anche il monumento a Paneriai, nell’omonima foresta fuori dalla città dove furono assassinate 70mila persone, oltre la metà delle quali ebree.
Con iscrizioni in yiddish e russo, fu eretto dai sopravvissuti all’Olocausto nella primavera del 1948 per essere poi distrutto nel 1952. Ricostruito dai sovietici e dedicato alle “Vittime del terrore fascista”, comprendeva un museo inaugurato nel 1960 nel luogo dell’eccidio. Nel 1985 anche il museo è stato ricostruito e l’esposizione rinnovata. Nell’autunno del 1990 la comunità polacca ha dedicato un monumento ai propri morti a Paneriai, mentre nel luglio dell’anno dopo la comunità ebraica vi ha posto la prima pietra commemorativa con iscrizioni in ebraico, yiddish, lituano e russo.
Per completare la conoscenza del passato degli ebrei lituani ed eventualmente scoprire nuovi spunti di visita, si può infine tornare in città e fare un salto in Mėsinių gatvė 3, presso il Centro per la cultura ebraica, che offre un servizio di informazioni, uno spazio espositivo, un caffè e, online, un museo virtuale della Vilnius ebraica.
Camilla Marini è nata a Gemona del Friuli (UD) nel 1973, vive a Milano dove lavora da vent’anni come giornalista freelance, scrivendo prevalentemente di cucina, alimentazione e viaggi. Nel 2016 ha pubblicato la guida Parigi (Oltre Edizioni), dove racconta la città attraverso la vita di otto donne che ne hanno segnato la storia.
Interessante contributo, grazie. Vorrei sottolineare che a Paneriai era installato un vero e proprio lager che e’ ancora visitabile oggi: in particolare si puo’ notare una fossa centrale (in foto) da cui,in circostanze rocambolesche, riuscirono a scappare decine di prigionieri nel 1944. Il campo, e’ ancora impressionante oggi ed e’ certamente piu’ importante del monumento sovietico messo li’ per propaganda. Inoltre , proprio nello stabile in cui vivo, in Basanaviciaus gve. ,c’era una grande biblioteca ebraica. Il citato Palazzo dello Sport verra’ completamente riammodernato e riaprira’ i battenti entro il 2024. In generale possiamo dire che l’ebraicita’ di Vilnius/Vilna non e’ particolarmente sottolineata ne’ dallo Stato e nemmeno dalla locale comunita’ ebraica rimasta, divisa in mille correnti che si contrastano attivamente. Ma da Israele gli investimenti continuano ad arrivare,in forma privata e pubblica..
Bene, Camilla. Non mi deludi mai.
Grazie mille per questo contributo. Veramente interessante