Cultura
Yaniv Iczkovits, il sillabario dello scrittore israeliano

Cinque parole raccontate dall’autore del romanzo “Tikkun”

Una storia che si svolge ai confini dell’Impero Russo di fine ‘800, tra pogrom, fughe e vendette personali, quella dello scrittore israeliano Yaniv Iczkovits è un romanzo d’avventura decisamente avvincente. Ma anche un racconto senza tempo, una favola filosofica volta a spiegare una delle parole più significative e pregnanti della lingua ebraica, Tikkun. Titolo del libro (sottotitolo: o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny), Tikkun si srotola per 490 pagine. Di fatti, di azioni, di pensieri e introspezioni che portano il lettore a capire cosa sia veramente il tikkun.

Gli abbiamo chiesto di compilare per JoiMag un breve sillabario intimo: cinque parole fondanti, costitutive del suo pensiero.

תקון (Tikkùn): Mio nonno partì dal suo paesino dell’Ungheria sul treno per Auschwitz. Non era sulle liste di quel giorno, ma salì su quel treno per seguire il suo amore. Finita la guerra tornò a casa, sicuro che non avrebbe mai più rivisto quella ragazza che gli aveva preso il cuore. Incontra un’altra donna, la sposa ed è quella che diventerà mia nonna. Un giorno per strada però incrocia una signora che lo chiama, ma lui prosegue il cammino e non le risponde. In punto di morte disse di avere un unico rimpianto: non aver fatto tikkun con lei. Tikkun è la capacità di uscire da se stessi per riparare qualcosa di ingiusto o sbagliato e non lavorare per farlo ha un prezzo molto alto.

מלים (Milìm) Parole: sono il materiale primario della letteratura e della costruzione del mondo tutto. Modellano il pensiero stesso, dunque creano la realtà: avere una particolare sensibilità per le parole significa avere la stessa attenzione per la vita. Scrivere in ebraico oggi richiede di essere consapevoli del passato, degli strati che compongono i singoli vocaboli, per superare gli arcaismi e costruire il mondo contemporaneo.

זכרון (Zikkaròn) Memoria: più che l’intelligenza, è la memoria ciò che ci distingue dagli animali. È il ricordo di ciò che è accaduto ai padri e ai padri dei nostri padri. La lingua della letteratura, infatti, è al passato, qualche volta al presente, ma mai al futuro. Perché compito dell’uomo è cercare il punto in cui il passato ci incontra nell’oggi. La conclusione? Il Nirvana, inteso come un qui e ora costante, non è possibile.

ישראל (Israèl) Israele: è la mia casa, quella che amo, ma anche una famiglia dove si litiga spesso e in cui ci si sente sempre in colpa. Un amico non israeliano un giorno mi disse che gli israeliani sono apatici, perché pensano a come arredare la casa, alle vacanze o a andare fuori a cena invece di riflettere su quel che accade loro intorno. Non è vero, gli risposi, non sono apatici, cercano solo la normalità. Cercano di sentirsi in colpa insieme, come succede in una famiglia molto complicata.

אבא ואמא (Aba veIma) Mamma e papà: un bimbo di circa dieci anni è seduto in un caffé con i genitori. Al tavolo accanto siede una bella ragazza e loro ne parlano, commentano la sua bellezza, mentre lui, il piccolo, la guarda a lungo per imprimersi nella memoria il significato di bello. Sono i genitori a darci le prime parole e il senso che hanno. Poi crescendo si incontrano altre opinioni, spesso in conflitto con quelle acquisite in famiglia. Allora comincia un viaggio complesso, doloroso quanto necessario di escavazione, fino a capire gli sbagli dei genitori. Con un po’ di fortuna, si compie anche l’ultima tappa di questo percorso verso l’adultità, l’accettazione e la pace con loro.

Yaniv Iczkovits, classe 1975, ha una formazione filosofica (dottorato all’Università di Columbia) con una specializzazione sul pensiero di Ludwig Wittgenstein. Ha pubblicato tre romanzi e l’ultimo, Tikkun o la vendetta di Mende Speismann per mano della sorella Fanny, ha vinto i premi Agnon, Ramat Gan per l’eccellenza letteraria ed è stato selezionato per il premio Sapir. In Italia è pubblicato da Neri Pozza (traduzione di Raffaella Scardi, pp. 490, 19 euro).

Micol De Pas

È nata a Milano nel 1973. Giornalista, autrice, spesso ghostwriter, lavora per il web e diverse testate cartacee.


8 Commenti:

  1. Mah …..apatici riferito agli israeliani non mi sembra un termine pertinente.
    Chi più di loro si impegna quotidianamente a seminare odio e morte?

    1. Cara Gabriella, questo è il sillabario intimo e personale di uno scrittore israeliano, che ci regala il suo pensiero su alcune parole per lui importanti. E l’apatia fa parte di un suo personale sguardo sulla vita quotidiana in uno Stato, in questo caso Israele, composto da una moltitudine di approcci. Di sicuro non vorrà attribuire a un intero popolo un’unica caratteristica.

  2. Team Joi

    Bravi ,pubblicate articoli interessanti e di questo vi do merito

    Ma… purtroppo leggo solo ora il commento di Gabriella “Mah …..apatici riferito agli israeliani non mi sembra un termine pertinente.
    Chi più di loro si impegna quotidianamente a seminare odio e morte?”

    Mi sembra che la risposta da parte vostra sia “apatica”
    E` vero che non c`e molto da rispondere a chi fa delle affermazioni come questa della signora Gabriella, ma bisognerebbe almeno provarci! Gli Israeliani si impegnano a seminare odio e morte?E` mai stata la signora Gabriella , per esempio, all`ospedale di Alyn
    dove vengono seguiti in eugual misura bambini di tutte le etnie?
    Ed ha mai assistito di persona a episodi di odio da parte degli Israeliani, o piuttosto ha sbagliato soggetto?

    1. Buongiorno Tamara,

      siamo lieti di sapere che ci legge con interesse. La nostra risposta al commento a cui si riferisce non intende essere apatica, ma pacata. Pensiamo che sia il modo giusto, dal punto di vista comunicativo, di replicare a quei commenti che si pongono come provocazioni. Non è mancanza di voglia di rispondere, è volontà di non permettere al livello della conversazione di abbassarsi. La ringraziamo peraltro per gli spunti offerti dal suo commento: a proposito dell’ospedale Alyn, abbiamo pubblicato a maggio un’intervista alla sua Direttrice Generale, la Dott.ssa Maurit Beeri. Ecco qui il link https://www.joimag.it/seminare-speranza-conversazione-maurit-beeri/ per chiunque l’avesse persa e desiderasse leggerla!

    2. No purtroppo non ci sono mai stata all’ospedale di Alyn. Immagino però che curino anche tutti quei bambini che rimangono “accidentalmente” feriti dalle bombe, scaricate direttamente nelle loro camerette, durante le varie operazioni piombo fuso, colonna di nuvola, margini sicuri e tante altre.
      Ovviamente quelli che non sono morti.

      E’ davvero incredibile che la gente comune, ancora oggi, non riesca a cogliere la proverbiale bontà d’animo e l’innato altruismo che caratterizzano da sempre il meraviglioso popolo d’israele.

    3. Gentile Gabriella,

      ci sono moltissimi palestinesi che ogni anno beneficiano di cure negli ospedali israeliani, anche nei periodi più violenti del conflitto. Informazioni e storie sono numerose e facilmente reperibili. Ci sono inoltre realtà della società civile impegnate in tal senso. Un esempio è “Road to Recovery”, un’organizzazione i cui membri, a titolo volontario, danno passaggi ed eventuale assistenza per e da la struttura ospedaliera. http://www.roadtorecovery.org.il/

      Questo naturalmente è solo un esempio. Su una popolazione di sette milioni circa ci sono persone attive nelle organizzazioni di cui sopra, e persone che vi si oppongono, come in qualsiasi altro posto al mondo. Non vogliamo convincere dell’assoluta bontà di nessuno ma suggerire spunti per una visione più articolata che prenda in considerazione non solo il bianco e il nero, ma anche tutte le sfumature. L’attribuzione pregiudiziale e indiscriminata di determinate caratteristiche a un intero popolo si chiama razzismo. Su JOIMag non è il benvenuto.

  3. Oooooooohhhhh ma che stupore!!!! Oooooooohhhh ma che meraviglia!!!!
    Adesso che conosco questa incredibile realtà dei buoni samaritani che danno passaggi da e per gli ospedali è cambiato completamente il mio modo di vedere le cose e ora scorgo tutte le sfumature di grigio.
    Maledetti tutti quei preconcetti che fino ad ora mi avevano sviato.

    Capisco che su joimag il razzismo non sia il benvenuto……… ma per il realismo un angolino, seppur piccolo, andrebbe trovato.

    1. Gentile Gabriella,

      di nuovo, non siamo qui per convincere né lei né altri lettori ad adottare una visione o un’altra delle cose. I lettori sono liberi di fare ciò che vogliono degli spunti che proponiamo negli articoli e nelle discussioni che da essi possono svilupparsi. Tornando all’articolo, capiamo che lei non si trovi d’accordo con lo scrittore, ma egli parla a titolo individuale, non a nome del suo governo. Riesce difficile parlare di realismo di fronte a un tale accanimento verso un articolo di argomento culturale, che semplicemente riporta il punto di vista di un singolo individuo.


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