Un invito a cercare risposte alle domande scomode rivolte a noi stessi
Il digiuno di Yom Kippur è richiesto dalla Torà, ma in un modo non così esplicito come potremmo immaginare. Il passo che costituisce la base di questo obbligo recita letteralmente:
E sarà per voi un decreto perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese, affliggerete i vostri esseri, non farete alcuna opera, sia il nativo, sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi [Lev. 16:31]
La Torà non specifica in cosa consista questo affliggersi, ma nel corso della storia esso ha preso la forma ben conosciuta del digiuno. L’idea però resta problematica. Perché mai dovremmo volontariamente affliggere il nostro essere? Per un amore dell’afflizione e un piacere della sofferenza?
Per comprendere il significato profondo di questo affliggersi è importante sapere che la radice da cui deriva l’espressione “affliggerete”, teanù, è la stessa di anah, che significa risposta. Possiamo quindi leggere il verso come una richiesta non tanto di affliggere i nostri esseri, ma di esigere da essi una risposta.
Ma a quale domanda siamo chiamati a rispondere?
Il quesito esistenziale più profondo corrisponde alla domanda che la Trascendenza pone all’essere umano nel racconto della Creazione, rivolgendola al primo trasgressore della narrazione biblica, Adam, e chiedendogli: “Dove sei?” [Gen 3:9].
Si tratta quindi di chiederci dove siamo, di localizzare la nostra posizione, grazie a un GPS interiore che possediamo ma di cui spesso perdiamo la nozione.
Nel testo biblico, Adam risponderà che la causa del suo errore è la sua donna, la quale gli ha dato il frutto da mangiare. Si tratta di un’aperta negazione della sua responsabilità, che ben illustra il senso della domanda.
Dove siamo, e perché ci troviamo lì? E qualora il luogo dove ci troviamo non sia quello che auspicavamo, quali sono le nostre responsabilità nell’esserci finiti? Cosa possiamo fare per riavvicinarci alla direzione perduta?
Naturalmente non sono certamente quesiti semplici, e un’attenta riflessione non potrà che generare un sentimento di disagio e forse anche di sofferenza.
Ecco spiegata l’afflizione di Yom Kippur. Non un torturarsi fisicamente attraverso il digiuno, che è solo uno strumento, ma esigere dal proprio essere risposte difficili a domande scomode.
A tutti noi una buona conferma nel Libro della Vita
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