Analisi di un luogo pubblico e delle sue funzioni sociali
Spazi urbani: il museo ebraico
La narrazione tra memoria dal passato e influenza sul presente
Il museo, a prescindere dalla sua titolarità formale, è per natura un bene comune dei cittadini: permette un uso collettivo, è in via di principio accessibile a tutti ed è permeato da una natura relazionale che crea partecipazione nei visitatori.
La storia dei musei è recente e lo è ancor di più quella del museo ebraico, che nasce a fine XIX secolo da pretese specifiche. Il libro The Jewish Museum di Natalia Berger ne traccia le origini. Il testo inizia con una citazione di Kafka:
Sia tu che io conosciamo moltissimi esemplari caratteristici di ebrei occidentali, io sono, per quanto ne so, il più occidentale di tutti loro, ciò significa, per dirla con una iperbole, che non mi si regala un minuto di quiete, bisogna che mi guadagni tutto, non solo il presente e il futuro, ma anche il passato, una cosa, questa, che tutti forse hanno avuto subito in dote, persino questo io devo guadagnarmelo. E questa è forse la fatica più grande perché se la terra gira su sé stessa verso destra – ma non so se poi sia così – io dovrei girarmi verso sinistra per riprendere il passato […].
Berger spiega che il museo ebraico nasce dall’esigenza di non perdere memoria del passato, lì dove la memoria rappresenta il fondamento dell’identità comunitaria. Nel corso del XIX secolo gli intellettuali ebrei iniziano a teorizzare la “Wissenschaft des Judentums”, la scienza dell’ebraismo, come alternativa alla conservazione del ricordo tramite tradizione famigliare o alla perdita dell’identità tramite assimilazione. Il Museo Bazalel di Gerusalemme, inaugurato nel 1906, dichiarava apertamente di aver come scopo una narrativa ebraica che aiutasse a formare l’identità nazionale del futuro stato di Israele.
Il museo ebraico come sforzo alla memoria collettiva anticipa inoltre una tendenza visibile oggigiorno nei musei moderni, cioè quella alla ‘conservazione’ o ‘ricordo’ del passato come insegnamento per il presente. Film, centri commerciali, parchi a tema vengono musealizzati per conservare la storia di un segmento societario. L’architetto Daniel Libeskind diceva nel 1999: “il museo è il luogo dove le persone si specchiano in artefatti che testimoniano la loro esistenza”.
Ma la narrazione di un passato ha sempre un’influenza sulla concezione del pubblico sul presente e il futuro degli attori coinvolti: il museo è un contenitore di informazioni passate, ma anche specchio di sensibilità del presente. I curatori scelgono la narrativa della mostra escludendo o rafforzando tratti di un’identità sfaccettata. Analizzare il museo ebraico è quindi un esame delle forze in gioco coinvolte nella creazione di una memoria.
Se i musei del XIX o XX secolo nascono dall’esigenza di educare e preservare, il museo moderno è consapevole della soggettività creata dai curatori e del sottostante braccio di ferro tra gli attori coinvolti, creando una museologia critica e decostruttiva della narrazione creata. Ne parla in un articolo Amy Sodaro . La ricercatrice, professoressa di Sociologia alla City University di New York, spiega come i memoriali emergono da una sensibilità che chiama “politica del rimpianto”, per cui uno Stato moderno per legittimarsi deve confrontarsi criticamente con il proprio passato, aggiungendo tuttavia che la critica del passato è tesa principalmente a rafforzare l’identità del presente e celebrarla come antitetica alle atrocità commesse, senza uno sforzo conciso a cambiare le dinamiche storiche sottostanti. In particolare, Sodaro analizza anche il Museo Ebraico di Berlino, definendolo come risultato di una ‘politica della nostalgia’: tramite il Museo lo stato tedesco può creare un’immagine idealizzata del passato degli ebrei in Germania, un passato sospeso ed esteticizzato che ignora le tensioni moderne avvertite degli ebrei tedeschi.
Nella nostra Zoom-intervista la dottoressa Sodaro aggiunge: “Ciò non è una caratteristica di ogni museo, ma in particolare dei musei istituzionalizzati o statali. Credo che ciò che viene musealizzato dalle istituzioni non sempre rifletta la memoria vivente portata avanti dalle comunità nelle loro quotidianità, ma un messaggio che possa rafforzare in qualche modo l’istituzione stessa. È bene ricordare per chi è creato un museo e da chi”.
Una lettura postmoderna del museo ebraico è dunque tesa a decostruire i codici e le narrazioni create dal contesto culturale di partenza, indagando sulle origini e gli scopi della narrazione stessa. In questa ottica, il museo ebraico come spazio cittadino è un bene della collettività e mantiene la sua natura relazionale, ma deve essere inserito in un contesto che ne analizza le implicazioni.
Micol-con-la-emme Sonnino, da pronunciare tutto d’un fiato, nasce a Roma nel 1997. Studia tutto ciò che riguarda l’Asia dell’Est all’Università di Bologna e vive tra Italia, Austria e Giappone per una magistrale in sviluppo sostenibile, con focus su sviluppo urbano e rurale. Le piace cucinare con la nonna e mangiare carciofi di stagione.